Bett Show 2017: viaggio nel paese dei balocchi dell’education technology
di Alessandro Bencivenni, alias ProfDigitale
In questi giorni diversi amici mi hanno chiesto cosa andassi a fare a Londra. “Vado al Bett 2017: il più grande evento europeo a tema education technology”, ho risposto ogni volta. In realtà, se siete insegnanti e per di più avete una passione per i vari strumenti tecnologici, il Bett – che si è chiuso sabato scorso – è molto più di questo: è una specie di paese dei balocchi, dove per due giorni giri, col sorriso sulle labbra, provando nuovi prodotti, parlando, in qualche caso, con le persone che li hanno pensati.
Il luogo: Excel London
Excel London è un polo espositivo enorme. Per farvi capire quanto, vi basti sapere che al secondo giorno, nonostante le otto ore del precedente, camminando tra i vari corridoi, continuavo a vedere stand nuovi. Ovviamente non erano spuntati come funghi durante la notte, ma lo spazio espositivo è talmente grande che occorre essere metodici e dedicarsi ad un settore alla volta, altrimenti si rischia di perdersi anche espositori interessanti.
L’atmosfera: be a game changer, cambia il modo di fare scuola
All’interno dei vari stand, soprattutto quelli più grandi, non ho trovato il semplice venditore, ma anche colleghi venuti da tutto il mondo per raccontare in che modo quella determinata risorsa avesse cambiato il loro modo di stare in classe. “Be a game-changer”, recitava il claim di quest’anno. Sii qualcuno che cambia il modo in cui si fa scuola, che fa cambiare idea alle persone, che fa credere loro che un cambiamento nel modo di fare scuola è possibile. Sul palco principale ne sono passati tanti di game-changers: il più importante di tutti Sir Ken Robinson, i cui discorsi sulla scuola sono diventati da tempo virali su YouTube e che ripete da tempo che la scuola penalizza la creatività dei bambini e dei ragazzi; che questo modo di pensare l’educazione ci parla troppo spesso di ciò in cui non siamo bravi, ma troppo poco delle cose in cui potremmo eccellere (come ad esempio l’arte, l’espressività).
Non è tutto oro…
Non mi fraintendete. Non tutto quello che era esposto era valido o innovativo. Sono rimasto stupito dalla grandissima quantità di piattaforme made in UK pensate per agevolare la comunicazione tra docente e studenti, ma anche tra docente e genitori. In Italia non ne abbiamo così tante, ma personalmente penso anche che quelle che ci sono, al momento, non abbiano niente da invidiare alle controparti inglesi, soprattutto in termini di costi. Alla voce “fuffa” catalogherei invece cose tipo la stanza sensoriale, con pavimento vibrante, 140 odori sintetici ricreabili dall’insegnante, luci al led ovunque e musica a 360 gradi. Non è di questo che abbiamo bisogno delle scuole.
Goodbye LIM?
Quest’anno è stato sicuramente l’anno dei touchscreen: enormi televisori da 65”, 85” o addirittura oltre, che permettono agli insegnanti di non essere schiavi dei proiettori, offrono immagini nitide in ogni condizione di luce e, soprattutto, permettono a bambini e ragazzi di lavorare contemporaneamente sullo schermo usando le dita oppure delle penne speciali. Addio LIM, quindi? Probabile, anche se ci vorrà tempo, considerando che molte scuole non hanno neanche quelle. Menzione d’onore alle aziende cinesi che hanno presentato delle lavagne, come quelle appena descritte, con superfici touch che ricordano l’ardesia, sulle quali è possibile scrivere anche con gesso o pennarelli ad acqua. Una soluzione che strizza l’occhio ai nostalgici ed agli insegnanti che sono spesso intimoriti dalla tecnologia.
Coltivando piccoli inventori
Coding e making sono sempre sulla cresta dell’onda. Se le stampanti 3D non hanno avuto un grandissimo spazio all’interno della manifestazione, è stato invece un proliferare di sistemi per trasformare ragazzi e bambini in piccoli inventori. Cubetti e mattoncini con all’interno dei sensori che, una volta concatenati, spesso grazie a dei magneti, permettono di creare piccole macchine, perfettamente funzionanti: dal prototipo di macchinina comandata via bluetooth dal cellulare, fino ai robot che aprono e chiudono occhi e bocca. Little Bits, ad esempio, ha rivoluzionato il mercato.
Spesso però non servono grandi cose. Un’insegnante americana mi ha mostrato come, grazie ad una scheda Arduino, un po’ di cartone, un motore microscopico ed delle banali cannucce da cocktail, abbia ricreato in classe una mano robotica insieme ai suoi alunni. “Abbiamo scelto materiali di facile reperibilità come la carta. Chi l’ha detto che per fare qualcosa d’innovativo si debba spendere tanto?!”. Vi posso assicurare che le foto esposte della sua classe non mentivano: i ragazzi avevano uno sguardo che definire felice è poco.
Poco più in là, c’era chi invece si era costruito un PC funzionante spendendo poche decine di euro, grazie a Raspberry Pi. Progetti neanche troppo complessi, resi semplici da start-up come Kano, che fornisce ai bambini delle elementari pochi componenti che però possono ricreare un computer funzionante al 100%. I bambini di oggi non sono abituati a chiedersi come funzionano gli oggetti tecnologici che li circondano. Scaricano app, aprono e chiudono programmi, ma non sanno come questo sia possibile. Tutte queste interessanti realtà, hanno una cosa in comune: vogliono che i bambini di oggi (e gli adulti di domani) non siano fruitori passivi, ma che usino la tecnologia per creare cose concrete.
Due passi nella realtà virtuale
Dalla concretezza alla realtà virtuale. Tante le soluzioni per immergere i bambini in mondi di fantasia o paesaggi lontani, anche se a mio avviso Google Expeditions ha dimostrato che con un visore di cartone dal costo irrisorio ed uno smartphone, si possono portare intere classi in gite scolastiche virtuali praticamente ovunque. Interessante anche i visori per la realtà aumentata, che permettono di far saltare fuori dalla pagina monumenti o anche parti anatomiche, le quali possono essere ammirate a 360 gradi.
Ed i computer?
Ovviamente di tutti i tipi possibili ed immaginabili. Portatili in larga maggioranza. Sempre più leggeri e sottili per gli insegnanti; sempre più resistenti quelli per la classe, grazie a rifiniture di gomma o silicone. Pronti comunque a qualsiasi utilizzo l’insegnante ne voglia fare: si trasformano in tablet, in tavolette grafiche… Alcuni sono anche in grado di scannerizzare oggetti reali e crearne una versione tridimensionale virtuale sulla quale lavorare per cambiare forme e colori.
Cosa mi porto via dal Bett
Sicuramente non i ricordi dei prodotti. Ciò che porto a casa con me è l’attitudine e la voglia di tutti gli insegnanti che ho incontrato lì (tanti dei quali italiani) di essere, come dicevamo prima, dei game changers, degli innovatori che vogliono dare in mano ai propri alunni le chiavi del futuro.