Punti di vista: Barbara Alaimo di CoderDojo Milano
Bambini che usano il computer e padroneggiano gli smartphone e i tablet di mamma e papà con disinvoltura: a questo siamo ormai abituati. Ma che reazione avreste se li vedeste programmare un videogioco? Il movimento internazionale CoderDojo, che dall’inizio di quest’anno sta attecchendo anche in molte città d’Italia, si propone proprio questo come obiettivo: insegnare ai bambini a programmare codice, app e giochi.
Per parlare di CoderDojo e di “digitalizzazione precoce”, abbiamo intervistato Barbara Laura Alaimo. Madre di 3 bambini (di 5, 10 e 12 anni) e pedagogista, con il marito Angelo Sala e altri amici ha deciso di avventurarsi nell’apertura di un CoderDojo a Milano. Iniziativa che ha avuto un grande successo, supportato da competenze informatiche ed educative che stanno facendo fare molta strada a questa palestra di programmazione per bambini.
Ci racconti cos’è e come è nato CoderDojo?
CoderDojo è un movimento internazionale nato in Irlanda nel 2011 per insegnare ai bambini dai 7 ai 17 anni a programmare codice, app, giochi e altro ancora. Non ha una struttura rigida, c’è un sito che connette tutti i CoderDojo diffusi nel mondo. Per aprire un CoderDojo (tutti possono farlo) bisogna rispettare delle regole: ci devono essere dei “mentor” e del volontari locali, si devono usare degli strumenti open source per incentivare la programmazione a tutti i livelli, i bambini non pagano per accedere ai corsi… Gli altri dettagli sono poi organizzati dal singolo nucleo, in base alle proprie risorse. Noi a Milano organizziamo un evento al mese, coinvolgendo 50/60 bambini.
Come vi è venuta l’idea di portarlo a Milano?
Nostro figlio più grande a 10 anni ha espresso il desiderio di inventarsi un videogioco, di programmarlo da sé. Il padre, Angelo Sala, ha acconsentito (all’inizio della sua carriera era un programmatore) e parlandone con un amico sono arrivati al movimento CoderDojo. Da qui ad aprirne uno a Milano il passo è stato breve, coinvolgendo altri due amici e me, che sono pedagogista. Il primo evento che abbiamo organizzato è stato nel febbraio 2013, a StartMiUp, con 20 iscritti praticamente tutti figli di amici, ed è stata un’esperienza bellissima: erano entusiasti sia i ragazzini che i genitori.
Successivamente abbiamo avuto molta visibilità grazie alla stampa e da lì in avanti ci siamo sempre trovati con il doppio delle iscrizioni che possiamo soddisfare a ogni evento organizzato nella sede di TAG Milano. E’ come se ci fosse “sete” di queste attività e i genitori sarebbero disposti a pagare, ma come ho già detto, questo non sarebbe nello spirito di CoderDojo.
A Milano poi ci sono stati mentor entusiasti come Carmelo Presicce che hanno fatto partire un CodeDojo anche a Bologna (con l’impulso inziale per connettere risorse di Francesca Sanzo Panzallaria). Poi ci sono le ragazze e i ragazzi di Roma, quelli di Trento, Catania, Torino, Brescia, Novara, Parma, Allumiere (un paesino del Lazio) e a breve Parma e Padova. Insomma, CoderDojo sta crescendo in Italia!
Come si svolge un evento tipo di CoderDojo, che programmi si usano per far programmare i ragazzini?
Ai bambini proponiamo un’esperienza diversa a seconda dell’età e della competenza maturata con Scratch, un tool del MIT che consente ai bambini di apprendere i concetti e le pratiche di base del pensiero computazionale. Il programma viene realizzato incastrando tra loro blocchi di codice predefinito attraverso i quali è possibile far muovere, parlare e interagire simpatici personaggi e oggetti. I bambini possono poi condividere i propri lavori con una community online che conta già più di 4 milioni di progetti pubblicati.
Ai più piccoli/meno esperti proponiamo di lavorare singolarmente o in gruppo a un progetto di loro interesse, un’animazione o un videogioco.
Ai più grandi/più esperti riserviamo un challange (una sfida con se stessi): lavorando a coppie devono completare una missione attraverso la realizzazione di un’animazione o un videogioco.
I mentor in entrambi i casi svolgono il ruolo di facilitatori: nel caso il bambino incontri un ostacolo non forniscono la soluzione ma lo aiutano a trovare da solo la strada per uscire dall’empasse.
Anche grazie a progetti come CoderDojo si parla di “digitalizzazione precoce”. Dal tuo punto di vista (privilegiato, poiché sei pedagogista, ma anche immersa nel mondo del digitale e dei suoi nativi) quali sono i lati positivi di questo fenomeno?
La digitalizzazione precoce è un dato di fatto, come la scoperta della ruota! Quali siano i suoi vantaggi e svantaggi è una domanda che ci poniamo noi, come dice Paolo Ferri, “immigranti digitali”. Apertura, curiosità, apprendimento autonomo, lavoro di gruppo tra pari, capacità di trovare le informazioni e di rielaborarle, multitasking: questi sono i vantaggi, che portano a un modo diverso di apprendere.
E a quali rischi espone?
Il rischio è che i “nativi digitali” arrivino ad annoiarsi più facilmente. Spesso 10 minuti per passar loro un concetto sono già troppi, ma non sempre ciò che è veloce è positivo, serve anche la capacità di soffermarsi ad approfondire. Per i più grandi ci sono i rischi legati ai social network, ma anche qui non si devono vedere solo gli aspetti negativi. Si pensi alla capacità di fare rete e all’abilità partecipativa che loro hanno sviluppato in misura maggiore rispetto a noi, doti che certo serviranno negli anni futuri.
Il rischio più grosso in realtà è un altro: noi adulti siamo pronti alla loro digitalizzazione precoce? Per esempio, nella scuola gli strumenti digitali ci sono o stanno arrivando, ma la didattica è pronta?
In questo senso c’è la necessità di un rinnovamento profondo, servono app e software appetibili, perché l’innovazione non è dare in mano a un bambino un tablet o mettergli in classe una LIM. In CoderDojo stiamo studiando ciò che si fa negli Stati Uniti sulla gamification e sui modi alternativi di imparare e abbiamo fatto la sperimentazione della pair programming, del programmare in due, sposandola al concetto del cooperative-learning. Insomma, ci impegniamo per una reale innovazione.
Come ti regoli con i tuoi figli rispetto all’utilizzo di questi strumenti?
Le regole si danno ai figli prima degli strumenti. I miei figli quindi sanno di poter usare tablet, cellulari e computer dalle sei in poi, dopo aver fatto i compiti e dopo cena si chiude. Ovviamente diamo regole diverse a seconda dell’età. Sicuramente controllerò il profilo Facebook di mio figlio (quando lo potrà aprire arrivato a 13 anni); verifico già la cronologia delle navigazioni e il cellulare di mia figlia, che sa bene cosa può fare per esempio su What’s App. Comunque la comunicazione con i figli (e quindi anche sull’utilizzo di Internet) è fondamentale più di quanto lo sia qualsiasi forma di controllo.
Quali competenze metteresti in un’ipotetica valigia per il futuro dei tuoi figli?
Oggi non possiamo davvero immaginare quelle che saranno le sfide del futuro. Io credo che quello che farà la differenza saranno, più che delle competenze, le cosiddette “life skills”: la capacità di pensare in modo positivo e di comunicare in modo efficace e non violento, il problem solving, la capacità di collaborare, l’autostima, la flessibilità, la gestione dello stress, la capacità di accettare e saper fare delle critiche per imparare dai propri errori, la gestione delle emozioni e l’empatia… Rispetto a tutto questo CoderDojo e il saper programmare è solo uno strumento, così come lo sono le lingue straniere.
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Ecco i prossimi appuntamenti di CoderDojo Milano:
19 ottobre: presenti con un laboratorio alla premiazione del concorso BitBumBam
23 ottobre: evento in Tag, a Milano
29 ottobre: presenti a Tablet School a Bergamo
30 ottobre: presenti a Codemotion Milano, con un laboratorio e con il talk “CoderDojo: il modo cool di diventare grandi!
Per poter portare l’esperienza di CoderDojo anche nelle scuole e in tutte le realtà sensibili e interessate a queste tematiche, i volontari di CoderDojo Milano hanno deciso di organizzarsi in una Associazione no-profit di Promozione Sociale a cui hanno dato il nome di Piccole Variabili.
Attraverso l’associazione sarà possibile dialogare più facilmente con le istituzioni e trovare con esse dei punti di incontro per diffondere la cultura della programmazione come mezzo per dare ai giovani gli strumenti che servono loro per vivere da protagonisti il loro futuro.