Gris, un videogioco imperdibile tra arte e psicologia
Tecnicamente parlando, Gris di Nomada Studio è un platform. Tuttavia, ha ben poco in comune con i classici del genere come Super Mario e soci. Chi ci segue sa che letteralmente adoriamo i giochi dell’idraulico italiano più famoso dei videogame in ogni loro declinazione, ma Gris tenta una strada totalmente diversa, fatta di colori, sentimenti e un grandioso senso estetico.
Di cosa si tratta
All’inizio, la storia di Gris non è molto chiara: la protagonista (si chiama anche lei Gris) è una ragazza senza voce che “cade” in un mondo bidimensionale in rovina. Ci sono templi e palazzi diroccati, boschi oscuri e stormi di uccelli. Un mondo senza colori, che la protagonista dovrà esplorare in lungo e in largo. L’illusione è che sia un mondo vasto pieno di bivi e strade secondarie, ma è solo un trucco degno del miglior prestigiatore digitale: Gris è un gioco in cui è letteralmente impossibile perdersi.
Gris all’inizio può saltare, ma sezione dopo sezione conquista dei nuovi poteri. Il primo, descritto a parole, sembra un po’ bizzarro: da leggera piuma che salta da tutte le parti con una grazie degna di un elfo, si trasforma in un blocco di solida roccia, quadrato e pesante. Le serve per resistere ai “soffi” degli stormi di uccelli e alle folate di vento troppo forte. Poi riacquisterà la voce, e via dicendo (non vi vogliamo rovinare le piccole sorprese del gioco). Inoltre, risolvere le sezioni del gioco, riporterà i colori nel suo mondo. Prima l’azzurro, il rosso, poi il verde e così via.
Solitamente, in ogni recensione di un videogioco troverete un paragrafo sulla grafica. Frasi come “è quasi fotorealistica”, “ricorda un cartone animato” e via dicendo. Per Gris ha più senso parlare di estetica: è un’opera che ha una direzione artistica, basta affrontare il primo livello per capirlo: ogni piccolo dettaglio ha un “senso” ed è riconoscibile nell’affresco generale del gioco. I colori sono stesi con una tecnica che ricorda gli acquarelli, con chiaro-scuri e neri su bianchi con uno stile semplicemente maestoso e artistico.
L’allegoria del dolore
Se un adulto prova Gris, si renderà conto del messaggio del gioco: Gris è un’avventura nel dolore, nella conquista di ogni sua fase, nella riscoperta di poter urlare e resistere agli ostacoli. Quelle statue di ragazza infranta, senza un pezzo di viso o con le mani crepate, narrano del suo viaggio per “riprendersi” i poteri.
Certo, c’è qualche enigma: Gris deve risolvere dei puzzle fisici con le sue abilità, ma niente di troppo complesso. Qualunque giocatore che non sia proprio alla prima esperienza di platform lo finirà in cinque ore, se è esperto del genere anche in tre. Ad allungare un po’ il gioco ci pensano dei “collezionabili” sparsi un po’ ovunque, ma come abbiamo detto la strada da percorrere è quasi sempre unica e non sarà difficile scovarli.
Questo lo rende perfetto anche per bimbi e ragazzi: i primi probabilmente se lo divoreranno, affascinati dallo stile grafico unico senza rendersi magari conto della storia di Gris e del suo dolore (tranne nella parte finale). I ragazzi più maturi, magari già alle prese con il mondo dei teenager e i primi scogli affettivi, intuiranno il livello di lettura più profondo dalla tristezza malinconica del background in rovina. Per questo, ho preferito giocare a Gris insieme alle mie figlie (di 10 e 14 anni) in momenti diversi, osservando come lo hanno affrontato in modo diverso – sempre comunque rimanendo catturate dal feeling di “platform emozionale”. Detto in breve, Gris è uno dei migliori videogame degli ultimi mesi: semplice e veloce da completare, ma uno di quei giochi che, come un buon libro, lascia “dentro” qualcosa anche dopo il game over.