Come tutelare la privacy e i dati dei bambini online?

Più di 170mila bambini ogni giorno accedono alla rete per la prima volta. Rappresentano un utente su tre di Internet, secondo il report dell’UNICEF “State of the World’s Children 2017 – Children in a Digital World”. La presenza dei bambini online, anche su piattaforme destinate agli adulti, non si può più ignorare e pone il problema ineludibile della tutela della loro privacy.

bambini con tablet

Il pubblico da catturare online è quello dei ragazzi

Se ne sono resi conto per primi gli inserzionisti e i produttori di contenuti, per i quali il pubblico da catturare online è sempre più rappresentato da minori. Lo dimostrano le mosse dei grandi player tecnologici e dell’intrattenimento, che stanno potenziando la propria offerta di contenuti e servizi online, soprattutto nel settore dei video, il formato maggiormente consumato dai più giovani. Apple lancerà all’inizio di quest’anno un nuovo servizio di streaming e ha commissionato due show per bambini ai creatori di Sesame Street. Debutterà nel 2019 anche Disney+, la piattaforma di streaming che potrà contare sui personaggi della casa di Topolino, oltre che di Pixar, Marvel e Star Wars. Entrambi dovranno ovviamente vedersela con Netflix.

I social sono pieni di bambini e tutti fingono di non saperlo

Mentre le imprese cercano di sfruttare commercialmente la presenza massiccia dei bambini online, le istituzioni si interrogano su come difenderli dai potenziali pericoli e proteggere la loro privacy. Il furto dei dati di 87 milioni di utenti di Facebook nel 2018 è  la punta di un iceberg gigantesco che emergerà investendo anche il mondo dei minori, presenti in gran numero sulle piattaforme online, ben prima dell’età formalmente consentita. Le difficoltà che affrontano i giuristi nello studiare forme di tutela della privacy e dei dati dei minori, in una realtà che vede la tecnologia procedere ad una velocità infinitamente superiore a quella delle norme, sono esemplificate dal GDPR. La nuova legge europea sulla privacy ha infatti cercato di fissare dei paletti, elevando per esempio l’età di accesso ai social media e introducendo una serie di regole per la raccolta e l’uso delle informazioni. Regole facilmente aggirabili, sia dagli utenti che dalle aziende, con il risultato che i social media sono pieni di profili di bambini, tutti fingono di non saperlo e gli unici mezzi per implementare efficacemente quelle norme – dal riconoscimento facciale alla segmentazione dei profili in base agli interessi – sono tecnologie nelle mani di coloro che al momento non hanno alcun interesse a farlo.

Scandali, denunce e una nuova sensibilità

Certo, la sensibilità nell’opinione pubblica sta cambiando: a fine 2018 un gruppo di associazioni ha denunciato alla Federal Trade Commission americana Google Play per aver violato sistematicamente il COPPA, la legge federale di tutela dei dati dei minori, raccogliendo informazioni attraverso le app della sezione famiglie e utilizzando in modo scorretto strumenti di marketing rivolti ai bambini per indurre acquisti in app. Più o meno nello stesso periodo, Oath, la società proprietaria di AOL e Yahoo, ha accettato di pagare una multa di 5 milioni di dollari per aver violato la privacy dei minori nelle sue attività di advertising online. Facebook, da parte sua, ha promesso di chiudere i profili degli under 13 presenti sulle sue piattaforme, inclusa Instagram, dopo che un’inchiesta di Channel 4 aveva dimostrato come i moderatori fossero invitati a chiudere un occhio di fronte all’iscrizione di utenti sotto l’età richiesta per legge.

YouTube & Co: maggiore responsabilità anche rispetto ai contenuti

L’opinione pubblica inizia ad esercitare pressione sulle società FAANG (Facebook, Apple, Amazon, Netflix and Google) per una maggiore responsabilità anche rispetto ai contenuti che pubblicano: YouTube ha dovuto blindare la propria app YouTube Kids, dopo aver ricevuto critiche rispetto a pubblicità non appropriate ed ha eliminato recentemente una serie di video che potevano istigare a comportamenti pericolosi, promettendo al tempo stesso l’assunzione di personale per la revisione dei contenuti caricati dagli utenti.
C’è però un altro aspetto della questione, che è molto più insidioso, come denuncia un articolo del New York Times: Facebook e Google hanno offerto alle scuole americane piattaforme didattiche gratuite, chiedendo al contempo alle famiglie l’autorizzazione all’uso dei dati degli alunni. Siamo sicuri che siamo disposti a barattare la privacy dei nostri figli in cambio di strumenti e servizi gratuiti?