Paolo Zanzottera, le app baby-sitter e le regole del mercato mobile

Paolo Zanzottera si definisce sinteticamente un “digital evangelist”. La sua esperienza nel mondo digitale è del resto lunga da raccontare: Board Member di ShinyStat (sistema di rilevazione browser-based e punto di osservazione per analizzare le tendenze del mercato, le abitudini e i comportamenti più diffusi tra i navigatori web italiani), fondatore a 25 anni di Bizonweb (web agency per lo sviluppo di siti e app) e Co-founder di Appocrate (società che propone soluzioni digitali per il mondo medicale), è anche docente di Digital Marketing e autore di un libro intitolato “Guadagnare con le app” (ed. Hoepli).

Gli abbiamo rivolto alcune domande, volte a sondare il mercato delle app in Italia, con le sue caratteristiche e prospettive anche per quanto riguarda i contenuti di “edutainment”.

Le risposte ottenute ci hanno offerto un punto di vista acuto, a volte per noi insolito, volto a indagare la realtà italiana dei contenuti mobile senza troppi filtri e giri di parole. Opinioni che può essere interessante scoprire, soprattutto per chi sta entrando nel mondo delle applicazioni mobile del settore educativo.

  • Hai una conoscenza approfondita del mercato delle applicazioni per smartphone e tablet nel nostro Paese: come sta crescendo, anche in relazione ai corrispondenti mercati stranieri?

Nel nostro Paese quello delle applicazioni mobile è un mercato in fortissima crescita ed espansione, con un fatturato enorme. In questo particolare settore tecnologico, a differenza di altri, l’Italia è uno dei paesi in testa, soprattutto quanto a utilizzo (numero di app scaricate, tempi di permanenza, spesa…). Gli italiani sono “consumatori” più forti del mondo mobile rispetto a quello desktop e non è un caso che Microsoft per lo sviluppo della sua piattaforma mobile abbia selezionato l’Italia come paese pilota, dato che qui ha le sue maggiori quote di mercato rispetto ai sistemi Android e iOs.

Quanto a produzione non siamo messi poi così male. I paesi scandinavi hanno una cultura di sviluppo più forte delle nostra, ma anche noi stiamo andando bene. Vedo molto fermento, anche perché lo sviluppo di app consente una valorizzazione della nostra creatività e della nostra tradizione di design, ma servono struttura e organizzazione. Faccio un esempio: l’app 2048 è di un italiano, ha avuto un gran successo, ma la mancanza di organizzazione e di strategia di difesa non le ha permesso di raccogliete tutto quello che meritava. 

  • In base alla tua esperienza, quali opportunità e limiti vedi nel settore delle applicazioni per bambini?

In passato ho fornito delle consulenze per il posizionamento di app per bambini e in questo settore vedo delle cose molto interessanti. Il concetto stesso di edutainment è interessante, anche se va affrontato con la giusta prudenza. Ho un figlio, ma non lo faccio avvicinare così facilmente a smartphone e tablet proprio perché non ne condivido l’utilizzo alla stregua di sostituti della baby-sitter. Sono strumenti potenzialmente enormi, ma possono creare dipendenza.
Detto questo, la realtà del mercato è un’altra. Il settore delle applicazioni per bambini è forte purtroppo quando propone le cosiddette “app baby-sitter”. Il business c’è, ma nelle app sostitutive della presenza dei genitori, genitori che magari pensano che per il bambino “nativo digitale” siano un’opportunità. In realtà non è così, un conto è diventare un fruitore passivo dei device digitali, un conto farne un uso consapevole. Le potenzialità educative del tablet sono indiscutibili, ma conta anche quanto ci autoeduchiamo a un corretto utilizzo dello strumento!

Da un punto di vista economico le opportunità, dicevo, sono enormi, anche perché il ciclo di vita di un’app per bambini è relativamente più breve rispetto a quello di un’app per adulti. Il bambino, contrariamente all’adulto che diventa “addicted” a un’app (si pensi al caso Candy Crush), si stufa molto più facilmente e cerca sempre nuovi contenuti (da qui il proliferare anche di acquisti in-app). E queste sono opportunità di business.

  • Ci sono moltissime app educative per bambini in età prescolare, molte meno quelle per i bambini in età scolare e per i ragazzini: quali spiegazioni ti dai?

Sì, è vero, si passa dalle app per bambini piccoli a quelle per ragazzi/adulti e il gap è sugli adolescenti. La risposta è nel mercato, che come abbiamo già detto premia le app baby-sitter. In realtà è necessario fare una precisazione e rivedere i numeri coinvolti: un conto sono le app per i bambini e un conto sono le app educative per i bambini. Queste ultime sono solo una piccolissima fetta del mercato loro rivolto (una su 10) e per produrle servono brand forti anche offline, con una struttura e una tradizione alle spalle, in grado anche di veicolarle e promuoverle. Insomma, se parliamo di app realmente educative, per la cui realizzazione servono contenuti specialistici, approfondimento e cautela, i numeri sono ridotti, sia che ci si rivolga a un pubblico prescolare sia che si punti al coinvolgimento dei ragazzini.

  • Perché da un punto di vista economico è spesso rischioso realizzare una buona app per bambini? 

Gli editori tradizionali che si sono lanciati nella produzione di app interattive per bambini non hanno avuto i ritorni che si aspettavano. Chi è abituato ai fatturati e ai ritorni del cartaceo fa fatica ad adeguarsi ai numeri del digitale, dove comunque i costi permangono se si vuole fare un prodotto di qualità. Un conto è un team di sviluppo giovane e leggero, un conto è l’apparato di un editore tradizionale, che ha leve più potenti ma anche più onerose. Riuscire a trovare l’equilibrio tra costi, ricavi e qualità non è in nessuno dei due casi semplice.

  • Cosa pensi dei tool editoriali oggi disponibili per la realizzazione delle app?

Se si punta a un effetto davvero immersivo e interattivo, io credo poco nei tool per realizzare app come Titanium e PhoneGap. Se per esempio voglio un libro interattivo per bambini, secondo me bisogna sviluppare direttamente in nativo per piattaforma, per poterla sfruttare al massimo. E’ ovvio che così raddoppio i costi. La scelta dipende quindi dal progetto che intendo implementare: nel mondo educativo dove punto molto su interattività e multimedialità, difficilmente si ottiene un buon risultato con questi tool quanto a usabilità, progetto grafico e interazione. Non è detto che a breve non compaiano tool più evoluti e in grado di dare migliori performance.

  • Per finire, quali dritte daresti a uno sviluppatore che vuole proporre contenuti educativi negli appstore?   

La prima: pensa sempre che il costo che devi sostenere per portare a termine con successo il tuo progetto non è solo quello di sviluppo ma anche quello per la promozione!

Il primo errore che vedo fare da parte di molti nuovi sviluppatori è considerare che i costi siano “fare l’app”, invece se ho stabilito un budget di 100, devo destinarne almeno il 30 % alla promozione. Non è una formula, ma è per dare un’idea delle proporzioni degli investimenti.

La seconda: se sei nuovo e sconosciuto, non usare il modello di vendita con download a pagamento! 
Ci sono già player online forti e brand molto conosciuti anche offline che riescono a vendere le app a utenti fidelizzati. Per chi si affaccia per la prima volta negli appstore, è meglio ricorrere a modelli diversi, come l’app free per la versione desktop (e a pagamento solo su smartphone e tablet), come l’app in versione Lite (modello che funziona ancora nel settore educativo) e come l’app con gli in-app purchase. Il genitore che scarica contenuti educativi è attento, vuole testare prima quello che poi proporrà al proprio bambino, quindi è bene dargli modo di farlo senza pagare. Solo quando avrà conosciuto il brand e si fiderà dei contenuti che propone, allora arriverà a scaricare a pagamento.

Propongo questi modelli perché sono dell’idea che il mercato italiano per i prossimi due anni funzionerà ancora sui modelli freemium, insomma, la gente scaricherà ancora gratis. Per questo, per sostenersi converrà non puntare sull’esclusivo download a pagamento.