Il social like e l’adolescenza
Tra il cuoricino e la faccina che ride, da qualche giorno è comparsa su Facebook anche la reaction dell’abbraccio. Un modo per trasferire sul social il desiderio di vicinanza e contatto fisico che in queste lunghe giornate di isolamento abbiamo tenuto represso. Oltre a like e cuoricini, faccine che ridono e che si arrabbiano, per un po’ di tempo potremo quindi reagire a un post anche con un abbraccio. Ma perché esistono queste reaction?
Spesso non ci facciamo troppo caso, ma il like, il mi piace, è il centro del social network. È il gesto più semplice, in molti casi casuale, che possiamo fare quando ci trovano di fonte a un post. Apriamo il social e mettiamo like e cuoricini a seconda di quanto ci sentiamo ispirati. Spesso anche a caso. Oppure pubblichiamo dei contenuti sapendo, o sperando, di ricevere approvazione a suon di notifiche. Sui social network, da Instagram a Facebook, passando per TikTok, giovani e adulti si confrontano con questo like continuamente. Ma è davvero tutto così gratuito, innocente, casuale? Ancora. Quale effetto ha questo bagno di like in adolescenza, in un periodo di cambiamento in cui l’approvazione dell’altro è così importante?
Quale effetto ha il bagno di like in adolescenza?
Sono tante le domande che nascono a partire da un gesto diventato così naturale in poco tempo. Ne parla in maniera approfondita il giornalista Simone Cosimi nel suo Per un pugno di like. Perché ai social network non piace il dissenso, pubblicato da Città Nuova. Intanto un po’ di storia. Il like non nasce su Facebook, come si potrebbe pensare, ma su FriendFeed, un aggregatore di aggiornamenti provenienti da vari canali. Nel 2007 Mark Zuckerberg acquisisce FriendFeed e introduce il like all’interno di Facebook. È l’inizio della dittatura del like nelle nostre vite.
Prima di procedere è necessario prendere in esame questo passaggio del libro di Cosimi.
Spesso, nella percezione illusoriamente intimistica della bacheca, tendiamo a considerare il Mi piace come un affare fra noi e l’autore del post. Sono io che lo clicco, sarà lui che ci bada. Non è (solo) così: il Mi piace è il primo e più importante sassolino che distribuiamo sulla piattaforma.
Il like non è dunque un fatto privato, personale, intimo. Non lo è perché sulla base di quel like girerà l’algoritmo che guida il social e che deciderà quali post farci vedere in futuro (anche pubblicitari). Ma non solo. Quel like avrà un effetto sull’umore della persona che lo riceverà (o non lo riceverà). Spingerà a pubblicare altri contenuti simili o a cercare contenuti che potrebbero attirare più like. Farà sapere a tutti cosa ci piace e cosa no.
Giusto qualche settimana fa ho incontrato un adolescente che aveva messo Mi piace a una pagina di un politico di estrema destra (o sovranista, come oggi si dice). Quel ragazzo non è però di destra, anzi. Gira i centri sociali e ha idee di sinistra. Gli ho chiesto spiegazioni. È rimasto sorpreso: “Come hai fatto a vederlo?”- mi ha chiesto – Io ho messo like solo per vedere cosa pubblicava ma non sono certo di destra. Anzi. Lo vado a togliere subito”. Non sapeva che si possono seguire le pagine senza mettere Like.
Mettere un like non è dunque un gesto così banale. Ma andiamo oltre. Da un punto di vista psicologico il piacere è tendenzialmente collegato alla ripetizione, mentre il dispiacere alla rottura. In un periodo così complesso come quello dell’adolescenza, i ragazzi sono molto orientati verso la ricerca della conferma. Il like sui social, per alcuni versi, risponde a questo bisogno. È una misurazione rapida e oggettiva che il ragazzo trova di fronte a una sua incertezza.
Inoltre il mettere in evidenza continuamente il numero di like, di follower, di visualizzazioni, di condivisioni…non fa altro che dare a quei numeri un significato di valore. Chi ha più like vale di più. Lo dice Cosimi nel suo libro, non è un caso che questi numeri siano messi in primo piano. Spingono gli utenti all’utilizzo della piattaforma, alla pubblicazione di foto, video e storie. Non sono solo numeri. Sono numeri che indicano un valore. E questo i ragazzi lo sanno bene.
Meglio fare a meno dei like in adolescenza?
No, non è possibile. I social network sono solo un altro modo con cui si esprime il bisogno di conferme da parte dei ragazzi. Però è necessario aiutarli a comprendere le logiche sottese a questi meccanismi che, lo si sarà capito, non sono certo innocui e casuali. I ragazzi, forse prima di loro gli adulti, devono avere una maggiore percezione di questa architettura che, in fin dei conti, ha come obiettivo ultimo quello di spingere alla pubblicazione e alla condivisione dei contenuti.
L’uso più maturo e responsabile dei social passa anche da qui. E, lo si sarà capito, non si può chiedere a un bambino, o a un preadolescente, di fare uno sforzo di questo tipo. Per questo è necessario accompagnare i ragazzi ed evitare che accedano troppo presto a questi ambienti troppo complessi.