Digitale per bambini: a che punto siamo?

A 6 anni dall’arrivo sul mercato del primo tablet e a 4 dal lancio di Mamamò abbiamo pensato che fosse venuto il momento di tirare le somme sullo stato del digitale per bambini. A che punto siamo? Ecco le nostre riflessioni, a partire da 3 domande che ci siamo poste.

App per bambini, esiste ancora un mercato?

Dopo l’euforia dei primi tempi, che ha visto molte start up investire con entusiasmo nel nuovo mercato delle app per bambini e i dispositivi dei genitori popolarsi di nuove applicazioni, da oltre un anno ormai si assiste ad un deciso rallentamento.  Con tablet e smartphone stipati di prodotti, gli utenti hanno imparato a scaricare con maggior parsimonia, per cui è diminuito in generale il numero di download. I ritorni economici degli sviluppatori, d’altro canto, stentano ad arrivare perché gli utenti prediligono le app gratuite. Il pubblico continua a pensare che i prodotti digitali non si debbano pagare (e pazienza se questo porta ad un abbassamento generale della qualità o se il mercato mi propina prodotti solo apparentemente gratuiti, pagati con l’esposizione dei bambini alla pubblicità o a odiosi meccanismi di acquisti in-app). Si tratta di un problema culturale che accomuna app e web e che richiederà tempo per essere risolto.

Così, mentre i grandi editori stanno per la maggior parte alla finestra per capire cosa succede, le piccole realtà che si erano affacciate inizialmente sul mercato se ne sono presto ritirate o mantengono gli investimenti nel digitale per bambini attraverso altre fonti di business e quindi, nel lungo periodo, hanno decisamente ridotto gli investimenti nel settore pubblicando meno prodotti. Il risultato è che – escludendo i videogiochi e le app a scopo promozionale – sono sempre meno i titoli per bambini che approdano sugli store.

Il fenomeno non investe solo un paese “marginale” come l’Italia, ma interessa anche mercati decisamente più fiorenti come quello statunitense: la Children Technology Review ha recentemente pubblicato un articolo in cui sottolineava come molte realtà che investono nello sviluppo di applicazioni educative per bambini lo facciano grazie a fondi privati di natura benefica. Khan Academy, una realtà non-profit americana che opera in ambito educativo, ha acquisito Duck Duck Moose grazie ad una donazione privata di 3 milioni di dollari. Così le app per bambini dello sviluppatore potranno continuare ad essere vendute gratis… con il risultato paradossale di convincere sempre di più i genitori – se mai ce ne fosse bisogno – che i prodotti digitali non si debbano pagare, nemmeno se costano meno di un cono gelato.

Che fine hanno fatto gli ebook per bambini?

Se le app per bambini non vivono un momento facile, gli ebook interattivi non possono certo stare allegri. L’ePub 3 è stato a lungo annunciato come il formato che avrebbe cancellato i confini tra app e ebook e avrebbe consentito di creare libri digitali interattivi e multimediali con un formato standard, accessibile a tutti i dispositivi. In realtà i libri interattivi vendono poco e spesso chi ha pubblicato un libro per bambini in formato ePub sta meditando se trasformarlo in app per avere accesso a store che sono più frequentati dalle famiglie. Anche qui i titoli interessanti sono pochi, al punto che facciamo realmente fatica ad alimentare la sezione “ebook” del nostro sito, a meno di non guardare ai libri digitali classici, senza interazioni e senza contenuti multimediali.

Ma la crisi ha radici più profonde, come dimostrano i dati della ricerca di Publishing Technology sulle abitudini di lettura: la maggioranza dei lettori giovani e adolescenti preferisce il libro di carta. Gli “enhanced books”, con la loro overdose di immagini, video, condivisione e interattività, non hanno conquistato i nativi digitali, che quando vogliono leggere continuano a prediligere l’esperienza tradizionale, seduti in poltrona con un libro di carta in mano. Le infinite potenzialità dei libri aumentati incantano come un fuoco d’artificio, con cui condividono il carattere effimero. Esaurita la meraviglia, il libro di carta e la sua solida, pratica tecnologia – testata e affinata nel corso di mezzo millennio – viene preferito alle infinite, disorientanti promesse del digitale. Un esempio? I libri che abbiamo letto sono ancorati nella nostra memoria a dati sensoriali, all’immagine della copertina, alla presenza fisica del libro su un dato scaffale della nostra libreria, al carattere con cui è scritto il nome dell’autore. Tutti elementi che si perdono nella maggior parte dei casi con gli ebook e con le book app. Probabilmente non sarà sempre così, ma perché cambi c’è da lavorare molto sull’esperienza di lettura digitale e su quella di acquisto dei libri digitali.

Competenze digitali: basta il coding?

La programmazione per bambini è uno dei trend del momento. Sull’esempio pionieristico di Scratch sono fiorite applicazioni, nati movimenti e moltiplicati i laboratori, con il risultato che il coding per bambini è diventato “cool” ed è riuscito a conquistarsi uno spazio anche all’interno delle linee guida della Buona Scuola. Non mi soffermerò qui a illustrare perché è importante insegnare ai bambini il linguaggio dei computer, dato che ne siamo convinte da sempre e abbiamo dedicato all’argomento un post qualche tempo fa. Bisogna però chiedersi se la programmazione per bambini sia sufficiente per educare i bambini al digitale.

L’anno scorso siamo entrate come docenti in una scuola media per un progetto che puntava a sviluppare competenze digitali e di citizen journalism attraverso un blog di classe.  Ci eravamo preparate a parlare di come si usa un cms e come si progetta un sito, di come si stende un piano editoriale e si scrive per il web, di comunicazione multimediale e di diritto d’autore, di SEO e di sicurezza online. Ma il nostro bel programma didattico si è infranto sulla prima domanda che ci è stata rivolta, non appena i ragazzi hanno acceso il pc: “Prof, ma come faccio a mettere l’accento? Prof, dove trovo il file che ho scaricato dalla mail?”. Abituati a smanettare sulle tastiere semplificate degli smartphone, utilizzando programmi che preconfezionano per loro funzioni limitate e ben definite, di fronte al computer la maggior parte di quei ragazzini di 12-13 anni era decisamente disorientata.

Mi è venuta in mente questa esperienza quando ho letto un recente articolo che invitava gli animatori digitali delle scuole ad occuparsi anche dell’abc. Troppo facilmente i ragazzi vengono etichettati come nativi digitali, presupponendo che abbiano delle competenze digitali “innate”. Purtroppo, non solo spesso sono fruitori e produttori inconsapevoli di contenuti online, ma spesso le loro competenze si limitano ad un utilizzo superficiale e standardizzato dei dispositivi mobili. Un elemento che sembra essere confermato dai dati OCSE PISA 2012 sul digital reading. Come scriveva tempo fa Paolo Attivissimo su Agenda Digitale“usano dispositivi che si connettono in modo trasparente, invisibile, non percepiscono Internet come un’infrastruttura di base alla quale ci si deve prima collegare per poter fare qualcosa. Vedono soltanto i servizi commerciali che Internet veicola e interagiscono con quei servizi toccando un’icona separata per ciascuno di essi.” 

Se vogliamo sviluppare le competenze digitali per educare cittadini di domani consapevoli non possiamo allora limitarci ai principi logici del coding. Dobbiamo partire dall’abc e da come è costruita la grande rete con cui i ragazzi hanno a che fare quotidianamente. Sono le basi dell’educazione digitale, e bisogna partire da lì. Come faccio a sapermi orientare tra le fonti e filtrare le notizie rilevanti e autorevoli dall’oceano del web se non conosco la differenza tra internet e YouTube? Come faccio a proteggermi dai pericoli se non comprendo che quando carico una mia foto in rete la do in pasto a una ragnatela da dove è praticamente impossibile cancellarla?