Sloweb: come non perdere se stessi nella foresta oscura della rete

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L’ultima notizia in ordine di tempo è l’accusa avanzata da un gruppo di studi legali contro YouTube  – società di Google – di raccogliere dati di under 13 in barba alle regole del COPPA, la legge americana che tutela la privacy dei minori online. Di fronte allo scandalo del datagate, che sta travolgendo le multinazionali della rete, abbiamo chiesto a Pietro Jarre di spiegarci cosa sta succedendo.

Jarre, ingegnere e consulente in ambito geotecnico e ambientale, è tra i fondatori di eMemory e di Sloweb, due realtà che cercano di conciliare l’universo digitale con una dimensione profondamente umanistica: la prima è una piattaforma digitale dedicata alla conservazione e valorizzazione della memoria individuale e collettiva; la seconda, un’associazione che promuove l’uso responsabile del web e di tutti gli strumenti digitali.

pietro jarre

Il caso Facebook e i pericoli per la privacy

Il recente caso di Facebook-Cambridge Analytica ha sollevato finalmente il velo sulla scarsa trasparenza e sulla disinvoltura nell’utilizzo dei dati personali da parte dei colossi del web. In un articolo su La Stampa l’hai definito la “Exxon Valdez della Silicon Valley” , auspicando l’avvento di un’epoca di Corporate Digital Responsibility. Che ricadute può avere un incontrollato uso dei dati personali sulle giovani generazioni e sui minori in particolare?

L’impatto è già stato devastante. E non solo sui giovani, sui millenial o su coloro che sono nati dopo il 1995, ma anche su chi nella prossima decade diventerà madre o padre, e dovrà iniziare a interpretare i fenomeni in un’ottica non solo economica ma anche di valori. Peraltro, ricordiamo che Facebook non fa cose diverse da quelle che fanno Twitter, Linkedin, Instagram, solo che Facebook ha una risonanza mediatica molto maggiore. È un problema dell’intera industria, del modo con cui si genera profitto: troppo e con visioni di breve termine.

I rischi maggiori per le nuove generazioni sono prevalentemente due: in primis, che la fruizione delle informazioni passi solamente attraverso i social, rinforzando le filter bubble in cui le fasce deboli tendono a vivere, polarizzando le nostre idee e opinioni, mettendo a rischio la stessa democrazia; in secondo luogo, si rischia di creare una generazione che non sappia cos’è la “privacy” e non la difenda. Nel ventennio ne abbiamo creata una che non sapeva cosa fosse la libertà. Non è stata un’esperienza molto edificante, perché ripeterla?

eMemory, una piattaforma per la conservazione della memoria

Con la piattaforma eMemory vi siete posti il problema non solo della condivisione sicura delle informazioni, ma anche della conservazione e della trasmissione della memoria digitale. Ci spieghi come è nata e come funziona?

La piattaforma nasce da valori e ideali, ma soprattutto da esigenze pratiche. Ne cito due:

  • come padre separato, io non avevo le fotografie stampate dei miei figli e ho pensato che fosse giusto portarle in digitale, selezionarle, scriverci sopra dei racconti, lasciarmi coinvolgere finalmente da quelle storie ormai più lontane, e restituire a loro, e a me, queste memorie, perché crescano più forti. Le nostre storie di adulti aiutano i ragazzi a fare le loro scelte, sentendo come e quando siamo stati incerti acquistano forza, maturano;
  • un’altra esigenza che ho sentito era quella di raccontare ai miei fratelli cosa io avevo vissuto con mio padre, che a loro era stato meno vicino, ed è morto molto presto. La raccolta, selezione, arricchimento fatti con eMemory oggi sono simili a quanto fatto tanti anni fa con molta difficoltà e meno flessibilità, con fotocopie e faldoni. Esigenze universali e permanenti, mezzi diversi. Oggi devi usare il digitale, ma devi ricordare che spettegola troppo, protegge quasi niente, e conserva nulla, a lungo termine, se non governato con fermezza. Lo devi e puoi usare, ma con attenzione.

Una piattaforma per creare il proprio diario, ma anche per costruire e condividere storie collettive

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Ci puoi fare un esempio di come una famiglia con bambini possa usare concretamente eMemory?

I bambini possono dotarsi di un account condiviso con i genitori – usano la stessa password – o meno: eMemory non ti mette in comunicazione con i rischi della rete. I bambini possono imparare a scrivere un loro diario, giorno per giorno, protetti. Possono collezionare e ordinare elementi della loro storia, creando le memotions, e raccogliendo oggi i semi delle loro memorie future. Imparando come si diventa grandi, a sentirsi diventare grandi.

I bambini possono leggere storie degli adulti e degli altri, imparando. Il tuo interlocutore principale sei tu, amici e parenti possono essere connessi ma lo scopo della piattaforma non è la condivisione, quello è uno strumento per la miglior conoscenza di sé. Ogni file è per definizione privato, se vuoi condividere devi scegliere da quando, con chi, e quanto condividere.

I bambini possono cercare nel proprio archivio secondo i tag che hanno usato, ritrovando, ordinando selezionando, conoscendo vita e valori propri in profondità. Possono giocare con altri a “memory” usando le immagini (foto, mappe, disegni) della propria vita (non i disegni fatti da altri) e imparando tantissimo; per esempio accoppiando facce e luoghi, o nomi e facce. E intanto lasciando andare il racconto fecondo di emozioni e identità…

I bambini possono essere membri o amministratori di un “gruppo eMemory”; tutti i fratelli; figli e genitori; compagni di scuola. In un gruppo puoi imprestare o regalare dei tuoi contenuti, commentare e arricchire quelli degli altri, costruire storie collettive e progetti della memoria sul gruppo, i luoghi della tua vita, le storie dei nonni.

eMemory: internet addiction disorder free

eMemory può avere anche un’applicazione in ambito didattico e terapeutico. Che esperienze avete portato avanti in tal senso?

eMemory potrebbe essere usata sia nel campo della medicina della narrazione, per malati terminali o meno, sia per la prevenzione dell’insorgere della demenza senile, e in questo senso abbiamo fatto proposte progettuali, non abbiamo ancora esperienze concrete. Nel campo didattico abbiamo preparato diverse offerte ma non abbiamo ancora svolto progetti, abbiamo mosso solo ora i primi passi – la piattaforma è on line dall’autunno del 2016 – con alcuni ragazzi dei corsi di informatica privati che si tengono a Torino. È bello vedere come i ragazzi si trovino subito a loro agio con la piattaforma, perché quanto loro si aspettano di trovare è quasi sempre lì, salvo alcuni particolari importanti: NON abbiamo “like”, lo riteniamo un modo primitivo di dividere il mondo in viva e abbasso; non abbiamo contatori veloci, che ti incitino a correre, piuttosto abbiamo contatori che partono da 999, per ridere; abbiamo sofà, poltrone, gatti di casa e luci soffuse. Non vendiamo o regaliamo adrenalina, siamo “internet addiction disorder free”.


Che modello di business ha eMemory?

I ricavi di eMemory provengono da tre fonti: progetti della memoria promossi con associazioni culturali e no profit, finanziati da fondazioni bancarie e simili; servizi professionali (educazione, assistenza alla archiviazione, diversi altri) e fisici (digitalizzazione, stampa); servizi online (abbonamenti premium e servizi addizionali, quali la consegna di una chiavetta con tutti i tuoi dati, in un cofanetto personale, a casa tua – altro elemento educativo importante). I servizi online li vendiamo anche a società di servizi o gruppi / associazioni che li comprano in blocco per i loro utenti.
I profitti li vogliamo destinare in parte ai “Progetti della memoria” di gruppi e associazioni; e il capitale di eMemory è a proprietà diffusa: già oggi la srl che possiede il progetto è condivisa da più di 30 soci, non solo italiani, e nessuno ha più di un terzo circa della società. Credo nella proprietà diffusa come condizione necessaria per l’indipendenza. Siamo aperti all’ingresso in società di individui motivati che condividano le nostre ambizioni e soprattutto i nostri valori etici. Uno di questi è il concetto di essere “user owned”, appunto. Un altro concetto interessante – anche per i ragazzi – è che vogliamo essere user – built, cioè essere aperti alle istanze degli utenti. Proprio un nostro utente, che stava per diventare un giovanissimo nonno, ci ha proposto di creare un account condiviso adulti / bambini, e così abbiamo fatto. Il bambino è nato, poco fa. Dopo una prima e unica foto su FB la sua immagine è stata protetta, e ora cresce di fianco a lui nell’account eMemory. Tra qualche anno quell’account sarà un dono per lui, e uno strumento della sua crescita.

Sloweb, piccola guida all’uso consapevole del web

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Nel libro “Sloweb, piccola guida all’uso consapevole del web” (a cura di Pietro Jarre e Federico Bottino, Golem Edizioni) si mette in evidenza come la rete abbia perso la sua connotazione originaria di luogo di relazione e si sia trasformata in un luogo di mercato, un “bosco pieno di borseggiatori e di impostori”. Come si può spiegare a un adolescente che se qualcosa è gratuito vuole dire che il prodotto in vendita è lui? 

In rete è molto difficile avere relazioni, è facile avere connessioni. Ai padroni della rete interessa che noi ci muoviamo, così da tracciare le nostre abitudini. Peppino Ortoleva ha usato questa magnifica metafora e ne parla nel primo dei sette interventi raccolti nel libro: internet è un bosco, i cacciatori studiano noi, prede, guardano dove ci abbeveriamo? Si, ma non solo: guardano come siamo arrivati in quella radura, quanto tempo ci siamo soffermati sul ciglio di quel burrone, e perché. Sanno tutto, e noi cadiamo nelle loro trappole facendo finta di non accorgercene.

Come spiegare a un adolescente che non c’è nulla di gratis? Ho chiesto a Alessandro, che lavora in eMemory, ha 24 anni e un fratello di 16. La prima risposta: spiegarlo ai giovani è facile, sono gli adulti che pensano sempre di sapere tutto, e non vogliono impararlo! La seconda: su internet abbiamo un post it appiccicato in fronte che ci determina quasi univocamente, e a questo post it sono collegate tutte le ricerche, tutto ciò che guardiamo, su cui ci soffermiamo etc. Quando Google capisce che può darmi della pubblicità va a prendere tutti i miei interessi, guarda quello che probabilmente mi può interessare in questo momento e me lo propone, a seconda di chi sta pagando per fare pubblicità in questo momento. Discorso analogo con FB e i loro compagni di classe, così fanno soldi.
Gli adolescenti di oggi sanno che l’acqua pulita e l’aria pulita non sono gratuite. Penso che molto rapidamente capiranno che nel digitale, ancora di più, nulla è gratuito. Molti giovani hanno già abbandonato FB in modo clamoroso negli ultimi anni forse anche per questo, e non solo perché FB è roba per vecchi tossici.

Educhiamo i nostri figli alle relazioni fisiche

L’immagine che i social riflettono è per sua natura sempre artefatta. Eppure i giovani costruiscono la propria identità anche attraverso i social media. In questo caso come facciamo a far sì che la tecnologia sia al servizio del benessere dell’uomo e non delle sue nevrosi?

Innanzitutto insegnando ai giovani che i social network sono un medium editoriale, non lo specchio della realtà. Abbiamo fatto già lo stesso con i nostri figli rispetto alla televisione. Ora lo sforzo sarà più grande perché la creazione dei contenuti proviene da chiunque appartenga alla rete sociale e si ha l’illusione di avere una finestra sul mondo “reale”, attraverso un mezzo digitale. Ricordiamo loro che i social media sono dei magazine auto-pubblicati in cui le persone raccontano la propria vita a puntate ma che si tratta di fiction e non di realtà.

Educhiamoli alle relazioni fisiche, la fisicità è un aspetto importantissimo dell’intersoggettività, non possiamo non tramandare questo valore alle nuove generazioni. Gli strumenti digitali devono integrarsi a dei corretti e sani comportamenti che seguiamo quotidianamente nella nostra realtà. Insegniamo ai ragazzi che quando la finzione sostituisce la realtà, lì sorge un problema, o peggio una patologia. Monitoriamo con attenzione le sbucciature di ginocchia di figli e nipoti: scendere sotto un minimo sindacale di qualche centimetro quadro al mese indica quasi certamente la necessità di cambiare abitudini.