Il virtuale è vero e può far male

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Quando il virtuale era un altro posto

Vi ricordate il suono dei primi modem per connettersi a Internet? Potevano passare secondi, certe volte anche minuti, prima di vedersi spalancate le porte del www, dei siti internet, dei primi forum, delle e-mail che venivano “scaricate” una volta alla settimana. Inizialmente, negli anni ’90 dello scorso secolo, si parlava di realtà virtuale. Uno spazio nuovo, inedito, reso possibile dalle nuove tecnologie in cui la realtà, quella “vera”, rimaneva fuori dalla porta. Un luogo sospeso e  anonimo, dove ci si poteva concedere il lusso di vivere con le proprie fantasie senza alcuna conseguenza. Il virtuale non era in continuità con la realtà. Era un altro posto, il luogo delle infinite possibilità a costo zero.

L’era 2.0, il confine incerto tra online e offline 

Poi sono arrivati i social network e questa troppo semplice definizione non è più bastata. Ci si è resi conto sempre di più del peso delle relazioni online sulla vita quotidiana. Il virtuale non poteva più essere considerato staccato dal reale. Si è cominciato a parlare di online e offline fino ad arrivare, negli ultimi anni, a sostenere l’impossibilità di tracciare un confine così netto tra queste due dimensioni. Detto in altri termini, quando non ho lo smartphone in mano sono offline? Oppure il fatto che il mio profilo sia attivo in rete, che lo smartphone registri dati, che il sistema di antifurto sia collegato tramite app al mio account e che chiunque possa cercarmi su WhatsApp mi rende perennemente online?

Oggi il virtuale è una cosa seria

E oggi? Parlare ancora di virtuale può sembrare sbagliato ma se non partiamo da lì rischiamo di fare ancora più confusione. Freud, in un bellissimo saggio intitolato Il poeta e la fantasia (1907), parla del gioco dei bambini. In un passaggio sostiene che il gioco dei bambini è una cosa molto seria.  In effetti, chiunque abbia in mente un bambino alle prese con i suoi giochi, può accorgersi della serietà che impiega nei suoi gesti. Il gioco, per il bambino, non è finzione, non è qualcosa che ha poco valore. Proprio per questo, secondo Freud, il contrario del gioco non è la serietà, come saremmo portati a pensare, ma la realtà. I bambini conoscono perfettamente il confine tra gioco e realtà e utilizzano il gioco per dare una forma alla realtà. Il gioco diventa il punto di incontro tra l’immaginazione e la realtà, l’atto singolare che permette di costruire il loro mondo, sperimentandone i limiti e le regole.

Se adesso sostituiamo la parola virtuale a gioco, potremmo dire che il virtuale, esattamente come il gioco, è una cosa seria. Non è finzione e neppure pura fantasia. Il virtuale rappresenta oggi una nuova modalità con cui si esprime la relazione tra esseri umani e, dunque, anche l’espressione della propria identità. Utilizziamo il virtuale, ovvero tutto ciò che si esprime attraverso la rete, per costruire la nostra realtà. Un po’ come fanno i bambini attraverso il  gioco.

Per molti il virtuale è uno spazio immateriale e sospeso

In tutto questo, però, non mancano certo le complicazioni. La sensazione diffusa, infatti, è che per molti adolescenti e adulti il virtuale della rete sia staccato dalla realtà, uno spazio sospeso e anonimo. Non si spiegherebbe altrimenti il perché una persona utilizzi un social network per insultare pesantemente o il perché si mettano in rete video palesemente offensivi.

La fatica a considerare il virtuale in continuità con il reale è certamente il punto su cui occorre fermarsi a riflettere. A differenza del gioco dei bambini il virtuale consente infatti di liberarsi della materialità del corpo. Tutto questo aumenta la difficoltà a percepire ciò che si scrive, si commenta e si dice online come qualcosa di legato alla realtà. Si può avere la sensazione che online sia tutta finzione, che non ci siano implicazioni con la quotidianità. Questa fatica nasce proprio dal fatto che strutturalmente l’uomo deve passare dalla propria fantasia e immaginazione per entrare in relazione al mondo. Il problema, se così lo vogliamo chiamare, è che l’assenza di materialità porta le persone a vivere sospese all’interno delle proprie fantasie, emozioni, sensazioni.

I rischi di restare sospesi nel “limbo” virtuale

Accorgersi di tutto questo richiede un passaggio ulteriore che, al momento, non tutti sono ancora in grado di fare. Ci vorrà ancora tempo, non siamo abituati. Questo percorso è inoltre reso più complicato dal fatto che ci potrebbero essere interessi a lasciare il più possibile le persone sospese in questo limbo. Nessun complotto, ci mancherebbe. Ma è certo che un certo modo di fare comunicazione online, che sia per marketing o per politica, non spinge le persone a cercare un collegamento tra la dimensione virtuale, immaginaria, e quella reale, della vita di tutti i giorni. Al contrario la sensazione è che più le persone vivono queste due dimensioni come staccate, più saranno emotivamente manipolabili.

Cyberbullismo, il rischio per i più giovani

I problemi nascono però con i ragazzini e troviamo nel cyberbullismo l’espressione più pericolosa di questo discorso. Perché giovani che non insulterebbero di persona un compagno di classe in rete si trasformano in violenti bulli? Possibile che non capiscano che ciò che scrivono o condividono ha delle conseguenze reali? Fanno fatica, lo si sarà capito. Per questo bisogna insistere lungo questa direzione, aiutandoli sempre a cercare connessioni tra queste due dimensioni che devono vivere in continuità e non in opposizione.

Sono discorsi necessari ma complicati. Concludo allora con un video preso dallo spettacolo teatrale Avrei soltanto voluto, scritto da Simone Cutri e interpretato da Edoardo Mecca, web star molto attiva su questi temi. Attraverso le sue parole sarà più facile cogliere questa difficoltà a considerare il virtuale come reale.

“Sul web, nella rete, siamo come bambini. Ci crediamo davvero, ma con un’aggravante. Confondiamo il virtuale con la finzione. Invece no. Quello che scriviamo, quello che commentiamo, quello che diciamo, quello che filmiamo e poi postiamo sui social non rimane solo nella nostra mente. Non finisce quando il gioco finisce. Non è una nostra fantasia come ci succedeva da bambini. No. È virtuale, questo sì, perché sembra impalpabile, sembra etero, non esistere, non avere sostanza. Ma non è finto. Quello che facciamo sul web è nostra responsabilità, è vero, è reale”.