Crisi della scuola? Non è tutta colpa della DAD
Di fronte alla crisi della scuola durante la pandemia – crisi educativa prima ancora che organizzativa – non dobbiamo commettere l’errore di pensare che il problema siano state la DAD e le condizioni di emergenza cui ci ha costretto il virus. Come una cartina al tornasole, il Covid-19 non ha fatto altro che portare alla luce tutte le fragilità sociali, economiche, politiche, istituzionali, culturali, che da tempo incrinavano la struttura del nostro Paese.
Non fa eccezione il settore dell’istruzione, dove si incolpa la didattica a distanza di disfunzioni che affliggevano la scuola già prima dell’arrivo della pandemia. La DAD, portata avanti in condizioni emergenziali grazie all’impegno di molti docenti e delle famiglie, ha fatto emergere criticità e inadeguatezze che prima esistevano ma erano meno evidenti, mettendo in luce bisogni educativi che non possono più essere ignorati. Insomma, la scuola italiana aveva bisogno di una vera riforma già prima e dobbiamo cogliere gli stravolgimenti portati dal Covid come occasione per metterla finalmente in atto.
Scuola, rivoluzione digitale e modelli novecenteschi
Con la rivoluzione digitale, agli annosi problemi strutturali e organizzativi del mondo dell’istruzione, si sono sommate istanze di rinnovamente didattico e culturale che accomunano tutti i paesi occidentali. Dalla fine degli anni Novanta e quindi nel giro di poco più di due decenni, la tecnologia ha profondamente cambiato il nostro modo di vivere, di comunicare, di stare insieme. Mentre fuori dalle aule il mondo cambiava radicalmente, la scuola è rimasta ancorata a modelli novecenteschi. La classe di mio figlio assomiglia molto a quella del liceo che ho frequentato io. Stessa cattedra, stessi banchi e organizzazione dello spazio, stessa scansione dell’orario delle lezioni. Allora era il 1985, l’anno del Live Aid: Ronald Reagan era appena stato riconfermato Presidente degli Stati Uniti, il Muro di Berlino era ancora intatto e in tv guardavamo Quelli della notte.
In questi 35 anni l’organizzazione rigida degli orari, la divisione verticale in materie, l’impostazione didattica frontale non sono state sostanzialmente intaccate dalle molte, interessanti sperimentazioni tentate dalle varie avanguardie educative del nostro paese. Tuttavia, un’organizzazione “per silos” del sapere, così come un approccio lineare e la definizione di luoghi e orari definiti per l’apprendimento mal si conciliano con il mondo iperconnesso in cui i ragazzi sono immersi quotidianamente fuori dalle aule scolastiche, nella logica dell’‘ovunque e in qualunque momento’. Allo stesso modo, la tradizionale lezione frontale fatica a catturare studenti abituati ad un’attenzione frammentata e a un apprendimento per segmenti – non a caso si parla di chunk learning – favoriti dalle logiche di Rete.
Verso una valutazione educativa
Costretti a replicare attraverso lo schermo i consueti riti scolastici – la spiegazione, l’interrogazione, il compito in classe – durante la DAD molti docenti sono stati assaliti dall’ossessione del controllo (“Accendi la videocamera”, “Guarda in alto”, “Fammi vedere le mani”, fino al “Bendati!”) che ha spezzato il fragile rapporto educativo sopravvissuto alla pandemia. La scuola a distanza avrebbe invece richiesto un radicale cambiamento non solo nell’approccio didattico, nel tempo scuola e nel tempo studio (5 ore davanti ad uno schermo sono insostenibili e infruttuose per chiunque, non solo per un bambino o un adolescente), ma anche nel metodo di valutazione. In realtà, già prima della DAD era emerso il bisogno di passare da una valutazione tradizionale, che verifica la riproduzione della conoscenza da parte dello studente, ad una valutazione più autentica, che misuri la capacità di pensiero critico, creatività, risoluzione di problemi, metacognizione. Si tratta di passare a una valutazione educativa, che non dà un voto ma valore a ciò che si apprende. Occorre quindi immaginare un processo continuo e costante di feedback diversi che diano forma all’apprendimento e possano influire positivamente sulla motivazione (a questo proposito guardate questo webinar di Riconnessioni).
Benessere scolastico al centro
Tutto questo avveniva anche prima della pandemia, ma era relegato nelle aule scolastiche. La DAD l’ha portato dentro casa, sotto gli occhi di genitori con cui la scuola da tempo ha perso il rapporto di alleanza educativa. Il tragico paradosso è che come emerge da una serie di ricerche americane, una parte dei ragazzi risultano meno stressati fuori dalle aule, grazie al fatto che la didattica a distanza ha portato un sistema di test più lasco e orari più flessibili. Che la scuola sia un luogo in cui i ragazzi si sentono in ansia dovrebbe farci riflettere su come abbiamo chiuso troppo a lungo gli occhi sui loro bisogni profondi. Forse è arrivato il momento di abbandonare modelli basati sulla performance per rifocalizzarci sul benessere scolastico e sulla costruzione di ambienti sereni e inclusivi, che devono diventare una priorità del mondo dell’istruzione.