Byod: a scuola spegnere lo smartphone o accenderlo?
Abbiamo già parlato di Byod a scuola (Bring Your Own Device, porta a scuola il tuo dispositivo) qualche mese fa quando, in occasione di “Futura”, evento organizzato dal Miur in collaborazione con il Comune di Bologna, il tema era all’ordine del giorno.
Come abbiamo visto, accanto posizioni fortemente contrarie, che ricordano il divieto istituito dall’ex ministro Giuseppe Fioroni di utilizzare il cellulare a scuola nel 2007 o l’attuale vigente nella vicina Francia, ve ne sono altre più possibiliste volte a regolamentarne l’utilizzo, partendo dal presupposto che i vari device possano anche rappresentare ausili utilizzabili a scopo didattico, e soprattutto che la scuola non possa esimersi da una “educazione al corretto uso del digitale” che passa anche attraverso l’uso consapevole dei propri strumenti elettronici.
Dietro al dibattito teorico e pedagogico c’è l’esigenza di sanare un vuoto, perché in realtà gli insegnanti italiani hanno quotidianamente a che fare con i dispositivi digitali portati in classe dagli alunni e devono normarne l’uso in maniera realistica e pragmatica.
L’utilizzo informale dello smartphone
Il dispositivo digitale personale per eccellenza, lo smartphone, rappresenta nel dibattito il convitato di pietra: ogni studente lo ha e anche nelle molte scuole dove è prassi depositare al mattino il telefono in una apposita scatola per ritirarlo al momento dell’uscita (specialmente fra le superiori di primo grado), fa capolino nella didattica con modalità informali.
Molti insegnanti si oppongono allo smartphone in classe in quanto è (per chiunque) uno strumento invasivo, che permette di gestire diversi aspetti della vita, vibra e manda notifiche e, anche se zittito, trasmette la consapevolezza di aver in tasca conversazioni in sospeso o informazioni in arrivo. Cliccare sul tasto di risveglio per verificare la presenza di qualche notifica è un gesto inconsapevole e consueto. Il problema – ed è un problema innegabile – è gestirlo in classe, quando eventuali notifiche arrivano a più di venti ragazzi, e il concetto di “tempo morto” del professore è distante da quello dell’alunno: ad esempio, se il docente interroga alla cattedra e l’alunno al proprio posto è probabilmente rilassato, cede più facilmente alla tentazione di controllare il telefono straniandosi da quello che accade in classe, mentre il professore richiede una attenzione completa dal posto. Questo porta alla necessaria conseguenza che l’uso del cellulare in classe debba essere regolamentato dal docente, secondo norme possibilmente condivise all’interno dell’istituto.
Ho lavorato come docente di potenziamento per un anno, e naturalmente ho fatto molte supplenze. Farle quotidianamente nelle classi più disparate, spesso all’ultimo momento ma cercando comunque di dare valore anche al tempo passato in semplice sostituzione di un collega, costringe a imparare a rispondere e improvvisare in ogni occasione. Spesso quando gli alunni vedono entrare il supplente si mettono in modalità riposo, aprendosi lo zaino e tirando fuori il cellulare. Sfrutto abitualmente l’occasione sostituendo all’uso casuale del ragazzo un compito, una ricerca mirata su temi di attualità inerenti il programma di studi. In una quinta scientifico, ad esempio, ho richiesto a un ragazzo di raccontare alla classe le ultime notizie reperite online sulla Corea del Nord, specificare chi le aveva scritte e dove le aveva lette, e legarle a eventuali avvenimenti presenti sul suo libro di storia. Ne è nato un dibattito sulla selezione delle fonti online che ci ha permesso di passare utilmente l’ora, e ha anche inibito l’utilizzo del telefono per tutti gli altri usi.
Il Byod a scuola in contesti di disagio sociale
L’utilizzo informale dello smartphone permette anche di ovviare ad alcune difficoltà in zone di forte disagio, dove non sono rare situazioni economiche difficili e diversi ragazzi sono privi di materiale scolastico, a partire proprio dai libri di testo.
Far scaricare agli alunni una applicazione dizionario di lingua italiana, o vocabolario inglese-italiano può permettere di ovviare a certe mancanze mantenendo il controllo da parte del docente di cosa il ragazzo stia effettivamente consultando. Una collega di inglese, notando l’abbondante uso di Google Translate fatto dai ragazzi, ha colto la palla al balzo effettuando un piccolo lavoro sulle traduzioni del software, mostrando i frequenti errori nella traduzione di frasi complete o le diverse articolazioni della stessa frase, per scoraggiare l’abitudine di tradurre frase per frase il compito anziché cercarsi il singolo lemma all’interno di una traduzione propria.
Tablet e ebook in classe
Quando si parla di progetti BYOD ci si riferisce solitamente a programmi più strutturati, che prevedono che ogni alunno sia dotato di uno specifico ausilio informatico.
Sono ormai molteplici in ogni ordine di scuola le sperimentazioni che prevedono l’utilizzo di tablet: il costo può essere sostenuto dall’istituto scolastico o dalle famiglie, e il tablet può essere personale o ricevuto in comodato. I tablet possono essere “bloccati” per non consentire la navigazione non guidata dall’insegnante e possono contenere testi preselezionati per ogni materia (come d’uso per i testi scolastici cartacei). Se da una parte i ragazzi non possono distrarsi navigando su siti non pertinenti, dall’altra tali blocchi inibiscono l’accesso alla ricchezza del materiale in rete. Inoltre, la necessità di utilizzare un particolare testo digitale nelle modalità tradizionali del cartaceo, obbliga a una lettura a monitor riportata come, alla lunga, problematica e fastidiosa.
In altri progetti come Bookinprogress, sono gli insegnanti stessi ad aver elaborato contenuti digitali, che da una parte danno la possibilità di personalizzare il materiale in relazione al proprio percorso, dall’altra pongono altre difficoltà, come la necessità di stabilire una modalità di validazione dei contenuti, di interoperabilità fra diverse piattaforme, di accessibilità da diversi device: punti che furono alla base del convegno Uno, nessuno, centomila. Libri di testo e risorse digitali per la scuola in Italia nel non lontano 2013, e ancora attuali.