Controllare il telefono dei figli. Tra rispetto e invadenza
Alzi la mano chi non ha mai controllato messaggi, profili social e rullino fotografico del telefono dei figli.
Solitamente, quando pongo questa domanda ai genitori, le mani si alzano tra sguardi complici e sorrisi imbarazzati. C’è chi dice di farlo solo in determinate situazioni, chi lo fa tutte le sere con regolarità e chi controlla senza il consenso del figlio, magari rubandogli l’impronta digitale mentre sta dormendo (ho sentito anche questa).
Ma tutto questo controllo è giusto? Oppure bisogna resistere a questa tentazione e lasciare più libertà ai figli?
I due tipi di controllo sui figli
Per non perderci in questo dibattito dobbiamo porre una prima distinzione. Da una parte abbiamo il controllo di tipo tecnico, dall’altra un controllo che potremmo definire relazionale.
Utile: il controllo tecnico
Il primo ha a che fare con i dispositivi tecnologici che i ragazzi utilizzano: quali applicazioni hanno installato, per quanto tempo le usano, con che profilo si presentano sui social network, quali informazioni condividono e quali no, come hanno impostato i livelli di privacy. Questo tipo di controllo è simile a quello che si faceva, ma per fortuna si fa ancora, quando un ragazzo esce di casa: dove va, con chi, a che ora torna, come si è vestito, in che condizioni torna a casa…
Dannoso: il controllo relazionale
Il controllo che ho definito di tipo relazionale, invece, riguarda molto più da vicino la vita del figlio. In che modo parla di sé, con chi si confida, come affronta le sfide tipiche della sua età… Tradotto, è tutto quello che avveniva, ma che per fortuna avviene ancora, quando i ragazzi stanno insieme tra loro in assenza di un adulto. Da quel tipo di informazione i genitori sono sempre stati tagliati fuori e dobbiamo fare in modo che continuino a restarci anche nell’epoca digitale. Non porta a nulla, se non a impoverire la relazione con un figlio.
Questo è dunque il primo punto. Differenziare tra un controllo tecnico e uno relazionale. Se il primo è utile, potrei anche dire necessario, il secondo è dannoso. Dobbiamo però sempre tenere a mente che anche un controllo di tipo tecnico deve dare un po’ di spazio di manovra ai figli, soprattutto in adolescenza. Oggi i ragazzi stanno infatti perdendo la possibilità di sbagliare, sono presi dentro al fantasma della trasparenza e del controllo. Tante volte non hanno neanche la possibilità di raccontare una bugia o posticipare una comunicazione rivolta ai genitori. La troppa informazione non fa bene alla relazione che invece necessità di spazi vuoti per potersi sviluppare e crescere.
Seguire i figli attraverso la geolocalizzazione, conoscere i voti a scuola prima che sia il ragazzo a dirli (o a non dirli) e intercettare comunicazioni ambigue su WhatsApp non solo non migliorerà la relazione ma non permetterà ai ragazzi di imparare a prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Non sempre è però facile operare questa distinzione. Tante volte, infatti, il controllo tecnico e quello relazionale si sovrappongono. A quel punto, a mio parere, in nome della relazione anche il controllo tecnico deve venire meno.
Conta anche l’età dei figli
Un altro punto su cui occorre fermarsi a riflettere è relativo all’età. Non possiamo correre il rischio di mettere sullo stesso piano un ragazzo di 15 anni, uno di 11 e un altro di 8.
A otto anni
A otto anni è necessario che un genitore operi un controllo di tipo tecnico molto importante. Se si dota un figlio di uno smartphone o di un tablet è fondamentale sapere quali app usa, per quanto tempo, con chi si relaziona, a chi manda le foto che scatta e quali immagini riceve sul dispositivo. A questa età i pericoli della rete e la poca consapevolezza di che cosa sia internet portano i bambini a mettersi in situazioni di forte rischio. Ci si può, anzi ci si deve, fare aiutare anche dall’utilizzo di password e app che aiutano a gestire questo tipo di controllo. Family link di Google, per esempio, aiuta a tenere sotto controllo i movimenti di un bambino su un dispositivo e può essere molto utile.
Dagli undici anni
A questa età la vita di un ragazzo cambia. Aumentano gli spazi relazionali autonomi del figlio ed è bene che un genitore non entri troppo nelle sue dinamiche amicali. Oltre al consueto controllo tecnico, si può cominciare a seguire il figlio un po’ più a distanza, osservando “da fuori” i suoi stati d’animo. Dopo aver spiegato che non tutto deve essere condiviso online e che le immagini che si immettono in rete diventano “di tutti”, si può poi agire un controllo sui contenuti che il ragazzo condivide, aiutandolo a capire gli sbagli fatti.
Durante l’adolescenza
Infine, quando l’adolescenza entra nel vivo, è bene che il controllo dei dispositivi termini. Anche quello di tipo tecnico perché a 15/16 non è più possibile definire un confine così marcato tra queste due dimensioni. Il rischio è infatti quello di invadere i suoi spazi relazionali e venire a conoscenza di informazioni che è bene che un genitore non abbia. Certamente è proprio questa l’età in cui si vorrebbe di più entrare nella testa di un ragazzo per conoscerne i pensieri e agire in sua protezione nel caso ce ne fosse bisogno. Ma non è questo il modo. In un momento della vita in cui è bene che un figlio spicchi il volo staccandosi anche dalle figure genitoriale e dalla famiglia, un eccessivo controllo può rischiare di tenere troppo legato il ragazzo. Sono altri gli strumenti che possono essere utilizzati per costruire una buona relazione e tutti passano attraverso la parola.
Se tutto questo vi ha gettato nello conforto possiamo consolarci con le parole di Sigmund Freud che nel 1937, all’interno del suo scritto Analisi terminabile e interminabile, scriveva così:
“Sembra quasi che quella dell’analizzare sia la terza di quelle professioni ‘impossibili’ il cui esito insoddisfacente è scontato in anticipo. Le altre due, note da molto più tempo, sono quelle dell’educare e del governare”.
L’educazione non diventerà mai una scienza esatta, neanche con uno smartphone in tasca.