Bullismo e cyberbullismo: torniamo a lavorare sulla relazione

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Bullismo e cyberbullismo. Due parole che gli studenti delle scuole primarie e secondarie conoscono molto bene ma che, sempre di più, sembrano parole svuotate di senso e ridotte a puro tecnicismo. Infatti, a ben vedere, questa conoscenza sembrerebbe non bastare a ridurre i numeri di un fenomeno che continua a dilagare tra i giovani.

Bullismo e cyberbullismo. Un fenomeno che non sembra arrestarsi

Secondo l’indagine pubblicata da EU kids Online e OssCom (Mascheroni, G. e Ólafsson, K., 2018)

il 10% dei ragazzi tra i 9 e i 17 anni è stata vittima di bullismo online e offline.

Un ragazzo su dieci. Tra gli 11 e i 12 anni, inoltre, si evidenza una maggiore percentuale di ragazzi vittime di bullismo mentre tra i 15 e i 17 anni a farla da padrone è il cyberbullismo. Questo non deve sorprendere più di tanto. L’incidenza del bullismo è sempre stata maggiore nei bambini/ragazzi appartenenti a scuole elementari e medie mentre andava ad attenuarsi con il passaggio alle scuole superiori. La novità, da un po’ di anni a questa parte, è rappresentata dal sempre maggiore utilizzo delle nuove tecnologie per comunicare, relazionarsi e offendersi. WhatsApp, Facebook, ask.fm e più recentemente ThisCrush hanno di fatto aperto le porte anche a nuove forme di bullismo che però, come cercherò di raccontare, si appoggiano sempre su un tessuto relazionale.

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La storia di Marco

Marco, 12 anni, è uno studente piuttosto agitato. Cerca in tutti i modi di entrare a far parte del gruppo classe ma, a causa della sua immaturità, viene regolarmente respinto e preso in giro. Il suo temperamento lo porta a rispondere a tutte queste provocazioni non accorgendosi, però, che questo suo atteggiamento non fa altro che metterlo in una posizione sempre più marginale all’interno del gruppo. Durante un incontro con la sua classe, viene fuori che Marco è stato espulso dal gruppo WhatsApp di classe. Motivazione: diceva troppe parolacce. Marco non sembra preoccuparsi di questa esclusione ma si limita a far presente di non essere stato l’unico a insultare all’interno del gruppo. Molti compagni di classe confermano quanto detto da Marco e qui si apre un nuovo capitolo.

Una ragazza prende la parola e, con molto imbarazzo, racconta di alcune fotografie di Marco, rubate dal suo account Instagram, finite all’interno del gruppo WhatsApp di classe. Sono soprattutto selfie, foto in cui Marco fa diverse espressioni buffe col volto. Immagini assolutamente normali, sostengono i compagni. Il problema è che queste fotografie, una volta finite sul gruppo classe da cui Marco era stato escluso, diventano motivo di offese e prese in giro piuttosto pesanti e volgari. Marco, seduto in silenzio, ascolta cercando di non far trapelare emozioni. I suoi occhi, però, cominciano a bagnarsi e dopo poco, nell’indifferenza della classe che continuava a giustificarsi per questo comportamento, comincia a piangere. Nessuno lo nota.

Faccio presente alla classe questa cosa e chiedo a Marco come sta. Lui non ha voglia di parlare. Un compagno, che poi si rivelerà essere la persona che ha messo sul gruppo le foto, dice: “Occhio ragazzi perché la mamma di Marco è avvocato e ci denuncia tutti”.

Un sintomo della nostra società contemporanea

Preoccuparsi degli aspetti legali, prima ancora di quelli emotivi, morali ed etici, mi sembra un vero e proprio sintomo della nostra contemporaneità. Il fatto che a farlo siano dei ragazzini di 12 anni mi lascia ancora più perplesso. Non è che, forse, si è data troppa attenzione agli aspetti normativi e legali e troppo poca agli aspetti relazionali? Certo, questi ultimi richiedono tempo e fatica, mentre per i primi basta fare un incontro con l’esperto. Purtroppo, però, è noto da tempo che per fare prevenzione occorre investire in relazione e non in comunicazione. Non si capisce perché in questo campo le cose dovrebbero andare diversamente. Svuotare bullismo e cyberbullismo di questa dimensione emotiva e relazionale significa renderlo un puro comportamento da sanzionare. Metodo, evidentemente, non efficace.

Cosa si può fare?

Diventa allora importante lasciare perdere leggi, norme, pene, denunce… e fermarsi a riflettere con la classe sui comportamenti da tenere nei confronti dei compagni. Ad esempio si possono fare lavori di gruppo, magari mettendo insieme proprio quei compagni che faticano a parlarsi, dando obiettivi comuni da raggiungere con l’impegno condiviso. In alcuni casi, senza paura, può essere utile fermarsi con la classe facendo in modo che tutti i ragazzi possano trovare uno spazio di parola. Infine, è necessario intervenire in maniera decisa non appena si notano alcuni comportamenti sbagliati, parlando con i diretti interessati. Nei casi più gravi ha senso convocare anche i genitori. Come si può notare, in tutti questi interventi non c’è traccia di normative e di insegnamenti sul come usare WhatsApp o Instagram (che possono arrivare, certo, ma solo in un secondo momento).

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Due facce della stessa medaglia

Infine risulta evidente l’impossibilità di distinguere e dividere il bullismo dal cyberbullimo. Sono due facce della stessa medaglia. Con caratteristiche differenti, è evidente, e con possibilità di colpire la vittima con delle modalità nuove e particolarmente violente.

Ma se si vuole aiutare i ragazzi a combattere il cyberbullismo, lo ribadisco, bisogna tornare a parlare di relazione fin dalle scuole elementari, dove di fatto prendono vita gli episodi di bullismo. Ascoltare l’altro, non prevaricarlo, rispettarlo, accettare le differenze e mettere da parte la voglia di prevalere.

Sono tutti aspetti della relazione a cui diamo sempre meno importanza, anche all’interno della famiglia, accecati come siamo dai tecnicismi e dalla fretta di raggiungere l’obiettivo. Inutile, quindi, chiedere ore di educazione digitale a scuola. Ripartiamo invece dal dialogo e dal rispetto dell’altro.