Bambini e digitale: meglio le regole o il dialogo?

regole digitale
La grande rivoluzione culturale che stiamo attraversando ha visto l’introduzione nelle nostre vite – al lavoro, a casa, nelle nostre interazioni sociali – delle tecnologie e della rete. Superando la discussione che divide favorevoli al digitale e contrari, una cosa è certa e lampante a tutti: internet e le tecnologie esistono, ci sono e si innoveranno nel tempo diventando elementi con i quali i genitori dovranno fare i conti. Occorre prendere atto che stiamo assistendo a un fenomeno culturale irreversibile che merita di essere analizzato e compreso.

Il ruolo delle regole

Molti bambini e ragazzi utilizzano social network diversi rispetto a quelli più conosciuti dai genitori. Non sempre purtroppo lo fanno in modo consapevole, come è emerso in parecchi casi di cronaca in cui ad esempio foto scattate in momenti privati hanno rovinato la vita di ragazzi e famiglie. Ma il timore e la paura nei confronti della rete sono direttamente proporzionali all’attenzione e alla responsabilità che si ha come famiglie nei confronti del mondo reale. Si parla oggi, ovunque, di assenza di autorevolezza genitoriale, di difficoltà a gestire bambini e ragazzi apparentemente fuori controllo, in balia o ancora «perduti» nella dipendenza da internet e dai social. Non si può parlare di queste tematiche, però senza riflettere sul ruolo genitoriale, fuori e dentro la Rete.

Ci si interroga spesso sul concetto di limite, regola: è veramente indispensabile alla salute psichica dei bambini e dei ragazzi? Si, poiché una libertà senza confini si trasforma in caos che confonde ed è psicologicamente tossico per la loro crescita. La madre è quella che accoglie, il padre dovrà invece impostare i necessari «limiti» (ma i ruoli possono essere invertiti). Nello sviluppo del bambino servirà un senso di accoglienza e comunione, sia fisica che psichica, così come sarà necessaria la tranquillità di una libertà confinata (cioè limitata, avente un «confine»).  La stessa frustrazione prodotta da questo limite imposto creerà nel ragazzo un desiderio di andare oltre e l’idea sul come farlo.

Il pensiero nasce dalla frustrazione. I bambini, i ragazzi vivono intensamente nel qui ed ora. Hanno un senso del tempo molto soggettivo. Quando un bambino non ottiene quello che vuole, ha la sensazione che aspettare faccia male. Devono invece imparare che ogni tanto aspettare non guasta, che sopravvivranno alla prova e ai sentimenti suscitati in loro dall’attesa. Se voi genitori trovate molto penosa l’attesa, difficilmente riuscirete a trasmettere a vostro figlio un’immagine diversa.

L’infanzia e l’adolescenza sono tempi di regole chiare, trasparenti, essenziali, che non sono imposizioni ma procedure educative per regolare il tempo e lo spazio comune. Quello che i genitori hanno il compito di fare, anche nell’ambito delle tecnologie, è quello di comportarsi da genitori: stabilire regole d’uso e dare il buon esempio, decidendo che alcuni tempi e zone siano liberi dalla tecnologia per tutta la famiglia, per esempio i pasti, i momenti dedicati a fare qualcosa insieme. È fondamentale quindi stabilire dei limiti nell’utilizzo dei dispositivi digitali riconoscendone però il valore, per esempio nel permettere ai bambini e ai ragazzi di restare in contatto con gli amici. Più che frenare, i genitori hanno il compito di indirizzare a ciò che può essere un uso più corretto delle tecnologie. Quindi, quel che è conta non è il tempo passato davanti a uno schermo, ma la qualità dei contenuti che è stato permesso di vedere ai nostri bambini. Ci sono video, esperienze, applicazioni e giochi che possono avere un importante contenuto educativo e anzi sostenere alcune competenze.

Per un utilizzo pieno e consapevole delle nuove tecnologie

Diventa quindi sempre più urgente aprire il dibattito con genitori e famiglie sull’utilizzo pieno e consapevole delle nuove tecnologie, per introdurle nella ‘normalità’ della propria vita e gettare ponti a livello educativo tra la cultura analogica e i nuovi stili di comunicazione e apprendimento che le nuove generazioni stanno sviluppando. Le tecnologie infatti offrono un mix di immediatezza ed immersività che allena più forme di intelligenza. Attraverso il digitale mettiamo in risalto:
  • la multidisciplinarietà
  • le interconnessioni,
  • il pensiero reticolare,
  • la condivisione della conoscenza come atto di costruzione sociale.

I genitori devono arricchire il proprio bagaglio di esperienze digitali, per condividere con i figli momenti di intrattenimento comune in un ambiente quotidiano arricchito dalle nuove tecnologie. Frequentemente i genitori hanno timore e sono diffidenti nei confronti delle condotte partecipative e le pratiche cooperative tipiche dei nativi digitali – per esempio, quando giocano online a Fortnite o condividono un video su TikTok – perché secondo il loro punto di vista i figli tenderebbero a isolarsi. Occorre ridimensionare subito queste paure dal momento che i ragazzi giocano insieme, anche se in rete, ed esercitano pratiche partecipative, cioè contribuiscono alla creazione di contenuti o allo sviluppo di processi all’interno di community digitali.

Meglio la famiglia restrittiva o quella mediattiva?

Pier Cesare Rivoltella – direttore del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica), nel capitolo del nuovo Rapporto Cisf 2017, individuava sei modelli di famiglia rispetto ai consumi mediali dei figli: lassista, restrittiva, permissiva, luddista, affettiva e mediattiva:
“Le Famiglie lassiste e quelle permissive rinunciano a mediare il rapporto dei figli con le tecnologie digitali, mentre la famiglia luddista risolve la mediazione nella scelta estrema di espellere i media dall’universo familiare (in questo modo pensando di non dover più esercitare alcuna mediazione). La famiglia restrittiva ha un livello alto di controllo (i genitori leggono le email ricevute dal figlio, lo costringono a navigare in casa, verificano i siti che ha visitato) ma un basso livello di educazione. La Famiglia affettiva invece incoraggia i figli ad usare i media digitali e condivide con gli stessi il consumo, ma non fornisce loro strumenti per diventare fruitori critici”.
La “famiglia mediattiva” è il modello che sembra centrare gli obiettivi educativi e coltivare nel tempo lo spirito critico tanto auspicato dalla Media Education stessa. In che modo?
«È fortemente presente nel lavoro di mediazione delle pratiche mediali dei figli. I genitori discutono con i figli, indicano cosa è bene e cosa è male, ne spiegano le ragioni, aiutano i figli a smontare i contenuti e a leggere sullo sfondo di essi. E così facendo li aiutano a elaborare un pensiero critico».
Tuttavia, come emerge da recenti ricerche, se la mediazione attiva non accoglie le ragioni dei figli, rischia di apparire uno stile falsamente democratico e poco efficace, in cui il genitore non si sforza di comprendere veramente il loro punto di vista. Viceversa, se nella mediazione restrittiva, il genitore detta le regole al figlio per l’uso dei media digitali, ma si sforza di spiegargli quali siano le ragioni che stanno alla base di questa scelta, si facilita l’internalizzazione della regola e lo sviluppo dell’autonomia del ragazzo.