L’educazione ai media necessaria, sin da piccolissimi
I pediatri sono d’accordo all’unanimità: i bambini non vanno esposti agli schermi prima dei 2 anni. Lo dice l’American Academy of Pediatrics nelle sue prescrizioni sull’utilizzo di televisione, computer, console di videogioco, tablet e smartphone, suggerendo in generale di non avere fretta di introdurre nella vita dei bambini la tecnologia. Con raccomandazioni analoghe si esprime la Società Italiana di Pediatria, che in particolare per i bambini tra i 2 e i 5 anni limita l’uso degli schermi a un’ora al giorno e dice no al cellulare “pacificatore”, durante i pasti e per calmare o distrarre. In Francia lo psicologo Serge Tisseron è ancor più restrittivo con la regola del 3-6-9-12, facile per ricordare che prima dei 3 anni nulla si guadagna esponendosi a uno schermo, fino ai 6 è meglio evitare i videogiochi e solo dai 9 è consentita la navigazione in rete, ma con l’ausilio di un insegnante o un genitore (lo si potrà fare in autonomia, ma con regole, dopo i 12). In generale, anche il buon senso ci guiderebbe a considerare i 2/3 anni come una soglia, un ideale spartiacque: prima viene l’esperienza del reale attraverso i sensi, poi l’esperienza del virtuale sugli schermi.
Davanti allo schermo sin dai primi mesi di vita
I dati più recenti dicono però che i bambini accedono agli schermi ben prima dei 2/3 anni. L’associazione americana Common Sense Media, che dal 2003 indaga il rapporto tra minori e media, in uno dei suoi ultimi report riferisce che prima dei due anni i bambini americani passano una cinquantina di minuti al giorno guardando gli schermi. Segnala inoltre che le prime interazioni con i media digitali avvengono già all’età di 4 mesi. Il Centro per la Salute del Bambino conferma questa tendenza anche per la nostra popolazione: in un’indagine del 2016 rilevava che un bambino italiano su cinque in Italia veniva esposto agli schermi nei primi 12 mesi di vita e che fra i 3 e i 5 anni quattro bambini su cinque erano in grado di usare il telefonino di mamma e papà.
Insomma, non si può non considerare che, nonostante le raccomandazioni degli specialisti, gli schermi e i media digitali entrino prestissimo nella vita dei bambini e che con questa realtà in qualche modo si debbano fare i conti.
Tempo schermo, non è l’asso pigliatutto
Focalizzarsi unicamente sul tempo che i bambini passano davanti agli schermi rischia però di impoverire l’analisi del rapporto tra bambini e media. Le raccomandazioni degli esperti e gli studi condotti dalla comunità scientifica prendono infatti in esame anche altre variabili che influenzano la qualità di questo rapporto, per esempio le modalità di fruizione e la tipologia e qualità dei contenuti che vengono visti/utilizzati.
In questa prospettiva, il concetto stesso di schermo risulta piuttosto vago. I bambini fanno cose molte diverse sugli schermi di tv, tablet, telefonini e console: possono limitarsi a guardare, possono leggere, scrivere, fare giochi interattivi, videochiamare, immergersi in mondi virtuali, ascoltare musica, cose non classificabili tutte allo stesso modo. È importante quindi fare delle distinzioni circa i supporti, i contenuti e le modalità con cui i bambini passano il tempo di fronte agli schermi, per far emergere i fattori che determinano la qualità di questa esperienza. Ecco quindi quelli su cui soffermarsi con più attenzione.
La presenza e l’interazione con gli adulti
È ormai dimostrato, dall’epoca degli studi su bambini e televisione, che la visione condivisa con un adulto può rendere la fruizione di un contenuto a schermo un’esperienza vantaggiosa per i minori. L’educatore o il genitore possono infatti verbalizzare, spiegare e stimolare confronti, reazioni e conversazioni, innescando nei più piccoli meccanismi virtuosi, come lo sviluppo di capacità linguistiche. Insomma, la presenza di un’adulto che media e regola può determinare l’esito negativo o positivo dell’uso di uno schermo da parte di un bambino anche molto piccolo.
Il contenuto educativo
Benché spesso i video e le applicazioni che i genitori trovano in rete o negli appstore siano definiti come “educativi”, in realtà si tratta di prodotti realizzati il più delle volte da persone più attente alle dinamiche commerciali che a quelle pedagogiche e cognitive (a questo proposito, è ancora da indagare il ruolo della pubblicità nei contenuti digitali per bambini, la sua pervasività e le sue conseguenze). Bisogna accertarsi, grazie anche al supporto di siti idonei, che i contenuti che utilizziamo sugli schermi con i più piccoli siano adatti al loro divertimento e intrattenimento e che, eventualmente, stimolino davvero le loro competenze. Attenzione, anche in questo caso, la mediazione dell’adulto di riferimento è sempre fondamentale.
L’interattività
Il fatto che uno schermo possa reagire a qualcosa che un bambino fa o richiedere una sua azione colloca su piani diversi i device digitali rispetto agli schermi non interattivi. Il potenziale educativo dei giochi digitali è ampiamente riconosciuto, ma ancora una volta occorre saper scegliere i titoli che realmente lavorino sugli obbiettivi di apprendimento e sulla motivazione dei bambini. In commercio, soprattutto per i più piccoli, spesso si trovano giochi in cui l’interattività è disegnata più per distrarre che per insegnare.
La connessione tra mondo reale e virtuale
L’importanza della convergenza che i bambini oggi stabiliscono tra gli ambienti virtuali e quelli reali è spesso trascurata dagli adulti. I confini tra questi due domini stanno diventando sempre più sfumati ed è importante capire come le esperienze fruite nel digitale possano espandersi nella vita reale. Un esempio evidente è l’introduzione delle videochiamate nella vita dei bambini, uno strumento in grado di agevolare la comunicazione con l’interlocutore lontano grazie al ricorso a un linguaggio più fisico e meno verbale (l’unico canale utilizzato durante una normale conversazione telefonica). Anche in questo ambito, gli studi hanno evidenziato come la presenza di un adulto che guida la videochiamata possa modellare un’esperienza più positiva per il bambino.
Infine, è utile riportare che anche il contesto socio culturale in cui vive ciascun bambino può essere uno dei fattori che influiscono sulla qualità dell’esperienza degli schermi e dei media digitali.
L’educazione ai media è necessaria, da subito
Alla luce di queste considerazioni sulla precocità di utilizzo e sulla complessità del contesto mediale in cui i bambini sono calati, è comprensibile che i genitori abbiano oggi bisogno di punti di riferimento per gestire l’educazione digitale propria e dei figli. Se l’esposizione dei piccolissimi è pressoché inevitabile (si consideri che, come suggerisce lo psicologo Alberto Rossetti, il primo oggetto che si para davanti ad un bambino alla nascita spesso è uno smartphone), serve un percorso di sensibilizzazione ed educazione, in cui i primi ad essere coinvolti siano proprio gli adulti. Tocca infatti a loro imparare a mediare la presenza dei device connessi nella vita dei figli, limitandone i rischi e agevolando le opportunità, nella consapevolezza di essere la prima generazione di “genitori connessi” e di avere ben pochi modelli di riferimento nel passato.
A supporto dei genitori, ben venga anche l’iniziativa del Ministero dell’Istruzione, che l’anno scorso ha introdotto l’insegnamento dell’Educazione Civica nelle scuole italiane di ogni ordine e grado. Uno dei tre pilastri della nuova materia scolastica è proprio la Cittadinanza Digitale, che dovrà essere insegnata anche nelle scuole materne. A tal proposito le linee guida di attuazione prevedono per le scuole dell’infanzia che “l’apprendimento potrà essere finalizzato anche all’inizializzazione virtuosa ai dispositivi tecnologici, rispetto ai quali gli insegnanti potranno richiamare i comportamenti positivi e i rischi connessi all’utilizzo, con l’opportuna progressione in ragione dell’età e dell’esperienza”.