Cyberbullismo: la spettacolarizzazione del bullismo
“…il cyberbullismo è qualcosa di più dell’evoluzione del bullismo. Sembrerebbe averne, in certe situazioni, invertito la vettorialità. In altre parole: a volte vengono compiuti atti di bullismo solo ed esclusivamente affinché siano ‘cyber'”
Parte da questa premessa “Cyberbullismo”, l’ultimo libro di Simone Cosimi e Alberto Rossetti che – dopo “Nasci, cresci e posta”, dedicato ai social – approdano in libreria con un nuovo volume a cura dell’editore Città Nuova, con contributi di Eraldo Affinati, Francesca Maisano e Andrea Pinna. In occasione dell’uscita della pubblicazione, abbiamo chiesto agli autori di tracciare i contorni di un fenomeno con cui i ragazzi, le famiglie e la comunità scolastica si confrontano sempre più spesso e con grandi difficoltà.
Nel libro sottolineate come il cyberbullismo sia qualcosa di più di una semplice evoluzione del bullismo. In che modo l’avvento degli strumenti digitali ha inciso sugli atti di bullismo?
Alberto Rossetti: “Gli strumenti digitali hanno reso il bullismo alla portata di tutti. Prima dell’arrivo di smartphone, WhatsApp e social network vari, il bullismo aveva dei confini piuttosto netti e la stessa immagine del bullo era agli occhi di tutti negativa. Ora è tutto più confuso. Con messaggi, post e commenti diventa molto più facile colpire un compagno. Inoltre, la velocità con cui certi contenuti corrono online rende qualsiasi offesa potenzialmente devastante per chi la subisce. L’assenza del corpo, poi, porta i ragazzi a faticare nel comprendere il peso delle loro azioni online, cosa che non capita nel bullismo tradizionale. Gli strumenti digitali hanno contribuito alla spettacolarizzazione del bullismo che, a questo punto, diventa un contenuto come altri da condividere e a cui aggiungere reazioni. Questo è molto pericoloso.”
Il termine cyberbullismo entra spesso in classe. Eppure, si ha l’impressione che la scuola e le famiglie non siano pronte per affrontare l’argomento. Che dimensioni ha il fenomeno e che risposta c’è stata da parte delle istituzioni, a partire dal mondo della scuola?
Simone Cosimi: “Le scuole e le famiglie non sono pronte come non sono pronte sotto molti altri aspetti, in generale quello delle competenze e delle consapevolezze digitali. Le risposte sono state buone anche se incomplete. Per il cyberbullismo esiste una legge a cui è collegato un piano d’azione nazionale che dovrebbe essere stabilito da un tavolo tecnico il quale si è riunito per la prima volta lo scorso febbraio, a diversi mesi dall’entrata in vigore della legge n.71/2017. Non mancano progetti frutto dell’impegno del ministero dell’Istruzione, come Generazioni Connesse, che proseguirà fino alla fine del 2018 per poi, probabilmente, rinnovarsi e che comprende una serie di iniziative per i ragazzi come per i professori. Allo scorso anno avevano partecipato quasi 3mila scuole e 1.392 avevano presentato uno specifico piano d’azione. Sempre la legge dell’anno scorso prevede anche la presenza di un responsabile in ogni istituto. Piccoli passi ma fondamentali.”
I social e i bambini erano al centro del vostro precedente libro. Che rapporto c’è tra social network e cyberbullismo e qual è l’atteggiamento di Facebook – che è anche proprietario di Instagram, una delle piattaforme più amate dai ragazzi – rispetto al fenomeno?
Simone Cosimi: “Possono poco, sotto l’aspetto proattivo. Hanno senz’altro sviluppato sia piattaforme di sostegno ai genitori (penso, ad esempio nel caso del social blu, a quella promossa con lo Yale Center for Emotional Intelligence di prevenzione contro il bullismo) o lanciato nuovi strumenti per individuare i thread di discussione violenti e bloccare i commenti ingiuriosi, è il caso di Instagram. Questo è un caso molto interessante: grazie al Deep Text cerca di individuare i commenti e gli attacchi rivolti all’aspetto fisico o al carattere di un (giovane) utente. Il punto è che spesso gli atti di bullismo sono passati o passano da piattaforme del tutto prive perfino di questo genere di policy e obiettivi. Chi si ricorda Ask.fm? E, più di recente, siti come ThisIsCrush o Sararah? Cosa possiamo mai aspettarci da questa roba?”
Perché, dal punto di vista psicologico, i ragazzi (ma anche gli adulti) sono così coinvolti dall’umiliazione altrui? E cosa scatta nella mente dei bystanders, quelli che assistono ad un atto di bullismo in rete o nella vita reale?
Alberto Rossetti: “Avete presente quando in autostrada si formano le code per curiosi? Su una carreggiata c’è un incidente ma la coda si forma anche sulla carreggiata opposta perché le persone rallentano per vedere cosa è capitato, attirate dalle luci dei mezzi di soccorso e dalle macchine distrutte. Nel cyberbullismo capita qualcosa di simile. La violenza, il dolore, la sofferenza e perfino la morte attirano l’attenzione dell’essere umano che può identificarsi con chi subisce l’atto violento, la vittima, oppure con chi la provoca, il bullo. Alla base c’è un meccanismo di identificazione, un modo per mettersi nei panni dell’altro che sta vivendo qualcosa che, per motivi diversi, cattura la nostra attenzione pur non riguardandoci in prima persona. Stesso discorso vale per i bystanders. Osservano, silenziosamente, magari sperando di non essere notati, cosa che effettivamente capita soprattutto online. Il problema è che questa partecipazione silenziosa ha un peso per chi si trova al centro della scena: esalta i bulli e umilia la vittima. Per questo un messaggio deve essere chiaro: chi partecipa ad episodi di bullismo, anche solo come osservatore, deve far sentire la propria voce e mettersi dalla parte della vittima.”
Che cosa dovrebbero fare la scuola e le famiglie per prevenire atti di cyberbullismo o per contrastarli nel momento in cui insorgono?
Alberto Rossetti: “Il primo punto da avere chiaro è che il cyberbullismo ha le sue radici nelle relazioni ‘di persona’. Nulla arriva per caso, neanche un post offensivo o una foto ritoccata per umiliare una compagna. Il cyberbullsimo, allo stesso modo del bullismo, nasce in classe, piuttosto che negli spogliatoi della scuola o della palestra, e lì deve essere interrotto. Gli strumenti digitali sono strumenti che amplificano e velocizzano il contenuto violento, ma alla base c’è una difficoltà relazionale. Dunque, ascoltare. I ragazzi oggi sono molto controllati e poco ascoltati. Il secondo punto è intervenire prontamente. Gli adulti di riferimento non devono permettere ai bulli di agire sotto i loro occhi. Le offese vanno stoppate sul nascere, nessuno all’interno della classe deve essere messo in disparte, escluso, preso in giro, ridicolizzato. Infine, soprattutto per quel che riguarda il digitale, i ragazzi devono essere accompagnati nel riconoscere le differenze tra un film o una serie TV e un video di un compagno di classe umiliato che corre nei gruppi WhatsApp. Il primo è uno spettacolo, il secondo un video che testimonia una violenza che va denunciato e stoppato il prima possibile.”